Una recensione 
a cura di Pietro Pancamo
Silvia Zoico, Testa e croce, Valentina Editrice, Padova, 2006 
 
 
Chi converte l’aculeo in fiore arrotonda il lampo” 
(René Char
 
Nei versi di Testa e croce, premurosamente introdotti dai commenti critici di Stefano Valentini e Paolo Ruffilli, la veneziana Silvia Zoico (ben lungi dal particolare v(u)oto di castità che impedisce ad alcuni d’accumulare esperienze e vita) non rinuncia a confrontarsi con la pienezza tangibile del reale, né per un attimo accenna, del resto, a nascondersi o ritrarsi. Anzi — come una moneta piroettante, lanciata in alto nell’aria vorticosa della poesia e del mondo concreto — ci svela, ovviamente “a rotazione”, entrambe le sue facce (in ultima analisi, forse coincidenti): quella di rimatrice estremamente abile nell’amministrare con tatto ironico le risorse metriche di uno stile anfibio e ibrido — che dalla tradizione sa distillare una modernità variegata (giocosa e afflitta ad un tempo) —, e quella di donna costantemente alle prese con una quotidianità molto ricca, pimpante (dunque difficile, molesta e assai dispendiosa), che pulsa imperterrita come “[...] uno spasmo alla gola senza freno”. Oppure come un crampo sbigottito e di parole: parole che — nei componimenti sempre ironici di quest’autrice — si creano a vicenda, trasmigrando l’una nell’altra per il tramite instancabile di calembour continui (sia folti che forti) o anche di paronomasie interminabili, se non a catena, che gettando su eventi e cose della normalità significati sbalorditivi e stranianti, strisciano sulla realtà come le macchie eruttive e cangianti di un Rorschach turbolento, il quale (in eterna e contorta convulsione) svergogna l’esistenza umana, accusandola prontamente per ciò che davvero è: un gorgo smanioso che ribolle di contraddizioni e in cui l’ironia e basta (in quanto capace di smussare la sofferenza in riflessione, cioè in pensiero, cioè in diretta emanazione della mente, della ragione e insomma della testa) può schermare alla radice la delusione amorosa, lo smarrimento, il dolore... in breve, la croce d’ogni giorno. 
 
Pietro Pancamo
 
 
Le immagini sono (C) Carlo Peroni 2001 
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