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Il sentiero 
“degli autori nuovi ed emergenti”
In questa sottosezione della rubrica “Il Novecento e oltre”, si parlerà (pubblicandone direttamente le opere, oppure attraverso una serie di interviste, recensioni o monografie) di coloro che si stanno ultimamente imponendo sia alla critica sia al pubblico e che, dunque, son decisi a rivendicare per sé un poco di luce autentica, per non doversi riscaldare in eterno ad un sole misconosciuto.
 
Quando la letteratura torna a essere qualità 
-Un’intervista a cura di Pietro Pancamo-
Professore universitario che per lavoro ha girato il mondo, nonché autore di raffinata e vasta cultura, Carlo Santulli, nell’intervista che segue, ci presenta la sua ultima fatica di narratore: ovvero Ghigo e gli altri, recente antologia di racconti e romanzi brevi, edita a maggio del 2007 dall’e-zine «Progetto Babele» di Modena, e appositamente ideata per rinverdire, in nome della scrittura di qualità, le grandi tradizioni letterarie che contraddistinguevano gli anni Venti e Trenta del secolo scorso. 
 
PIETRO PANCAMO: Tu, Carlo, che hai vissuto a lungo nel Regno Unito, hai per caso notato qualche differenza tra il modo che gli inglesi hanno di approcciarsi alla lettura e quello invece degli italiani — o di altri popoli, magari, con cui sei venuto a contatto nel corso della tua carriera? 
CARLO SANTULLI: Nel Regno Unito si legge (in termini assoluti) di più che in Italia: ci sono ragioni storiche per questo, in quanto nei Paesi protestanti la lettura, in primis dei testi sacri, viene raccomandata da cinque secoli o giù di lì, cosa che non è vera nei Paesi cattolici, dove la lettura è stata molto a lungo considerata privilegio della gente colta o dei religiosi. Tuttavia, se parliamo della qualità di quel che si legge, sono abbastanza convinto che in Italia si legga “bene”, seppure poco forse, anche per una tradizione scolastica che cura molto la lettura dei classici. 
 
PIETRO PANCAMO: Come sei approdato alla rivista «Progetto Babele» (che adesso curi in veste di codirettore)? 
CARLO SANTULLI: Per caso... nel 2002 cercavo una rivista letteraria su Internet e Marco Capelli1 aveva scritto al forum di Beppe Severgnini sul «Corriere della Sera» on-line per “reclutare” redattori per la neonata PB2. Mi ha subito convinto quel che proponeva: da allora, siamo andati avanti giorno per giorno, anche con un certo stupore per ciò che siamo riusciti ad ottenere. E né Marco né PB mi hanno mai deluso. 
 
PIETRO PANCAMO: Quali, a tuo parere, i traguardi maggiori raggiunti dalla rivista in questi anni? 
CARLO SANTULLI: Il più grande traguardo di «Progetto Babele» è oggi quello di... esistere ancora. La Rete è il regno dell’effimero, ed invece abbiamo raggiunto un minimo di continuità e, se vogliamo, un’immagine credibile e positiva. Inoltre, siamo riusciti a riportare l’attenzione su autori dimenticati, ed a dare un piccolo spazio agli esordienti, anche in poesia, uno spazio modesto, ma sincero e perfettamente fruibile. Una cosa piccola fatta bene, ecco quel che vogliamo essere, e speriamo di riuscirci ancora a lungo. 
 
PIETRO PANCAMO: E passiamo finalmente alla tua attività di scrittore. Ho letto su «Progetto Babele» alcuni tuoi racconti che ho apprezzato molto. Ma qual è stato il tuo primo amore? La poesia? O hai iniziato proprio come narratore? 
CARLO SANTULLI: Il mio primo amore letterario... sono stati due: l’umorismo da un lato, e la poesia dall’altro. Oggi non riesco più a scrivere poesie, anche se ho vinto qualche concorso da giovane (fine anni Ottanta-primi anni Novanta), mentre continuo con la narrativa di tanto in tanto. Sono tutt’altro che uno scrittore “torrenziale”: per scrivere devo avere qualcosa da dire, ed avere tempo e voglia di dirlo, nel senso che se non ho voglia non mi forzo certamente a farlo. Ripenso alle idee per lungo tempo, poi (anche se non sempre) metto qualcosa su carta. 
 
PIETRO PANCAMO: A quale genere appartengono e di che cosa trattano, i racconti compresi nella tua ultima raccolta Ghigo e gli altri, di recentissima uscita? 
CARLO SANTULLI: Allora... Ghigo e gli altri è una specie di antologia, contenente due romanzi, uno più lungo, L’amore nella città sommersa, che è un vero e proprio piccolo romanzo storico, ambientato nella Roma del 1929, ed uno più breve, B. A, che è invece decisamente più “contemporaneo”, ed una piccola teoria di racconti. Il titolo deriva dal primo racconto della raccolta, Ghigo e l’ora legale, e vuole indicare quello che mi interessa: lo studio di diversi personaggi, maschili ed anche femminili, come B. A. Il mio genere è la narrativa in senso più lato, anche se a volte non manca l’elemento surreale o fantastico. E penso che i racconti abbiano una sufficiente varietà da interessare un più vasto pubblico di lettori. 
Quella dell’antologia è una specie di “scommessa”: libri compositi andavano molto in voga negli anni Venti e Trenta dello scorso secolo, ma ora non vengono più considerati “economicamente attuabili”, anche per l’influenza della narrativa d’oltreoceano, che richiede ormai soltanto romanzi unici e non divisibili (o semmai saghe di vari romanzi). Un piccolo scopo di quest’operazione è anche riportare l’attenzione su questa struttura composita, che dà molto, penso, al lettore anche in termini puramente economici (al di là del valore dei miei scritti). 
 
PIETRO PANCAMO: In almeno un passaggio della prefazione con cui premurosamente introduce Ghigo e gli altri, la brava Valeria Francese ti presenta e commenta servendosi di concetti, grossomodo vicini alle parole che tu stesso hai utilizzato, a un certo punto, nel recensire su «L(’)abile traccia» Per colpa del Dottor Moreau, volume di novelle edito da «Progetto Babele» e scritto dal noto narratore sudamericano Fernando Sorrentino. C’è dunque, fra te e quest’autore, una qualche tangenza o somiglianza, a livello di ispirazione e visione del mondo? 
CARLO SANTULLI: Sorrentino, che è uno scrittore che ammiro molto e di cui ho anche tradotto qualcosa per «Progetto Babele», ha un’autentica ossessione per una biologia grottesca e deformata, portata fino alle estreme conseguenze: devo ammettere tuttavia che non ho né il rigore né la mentalità per praticare tanta assolutezza in letteratura. Io tendo piuttosto al sincretismo, alla contaminazione dei temi e dei linguaggi, anche per la mia formazione culturale e più generale. Per quanto riguarda Valeria, è stata la prima lettrice entusiasta, dopo Marco Capelli, delle bozze del libro, e trovo che abbia tirato fuori dei significati dai miei scritti di cui non ero consapevole: il che testimonia del suo acume critico. 
 
PIETRO PANCAMO: Qualche tempo fa, un editore che stavo intervistando mi ha detto che secondo lui «stampare un libro, senza avere già la certezza di riuscire poi a venderlo, significa solo sporcare la carta» e nulla più. Tu, come scrittore, ma anche come direttore di una rivista culturale, che cosa pensi di una simile affermazione? 
CARLO SANTULLI: Beh... ma come si fa ad avere la certezza di venderlo? I gusti del pubblico cambiano, e non abbiamo (o almeno io non ho) la bussola per chiarirmi le idee su come si evolvano. Si spera di vendere, secondo me, più che esserne sicuri, specie se si cerca la qualità. Poi, sul discorso di sporcare la carta, oggi abbiamo la possibilità del “print on demand”, che si può tradurre anche in “vendo, poi stampo”, quindi non sarei proprio d’accordo con le parole dell’editore (ma non sono un editore... ). 
 
 
 
 
 
1 Il fondatore di «Progetto Babele». 
 
2 Acronimo di «Progetto Babele».
 
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