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Una recensione 
a cura di Andrea Borla
 
 
 
 
 
David Ambrose, 
L’uomo che credeva di essere se stesso
Meridiano zero, Padova, 2006
 
 
Rick Hamilton è il titolare di un gruppo editoriale che pubblica riviste di successo. Una mattina, nel bel mezzo di un appuntamento di lavoro, è colto da un presentimento: la moglie Anne e il figlio Charlie sono in pericolo. Sulla strada verso casa lo attendono le lamiere contorte dell’auto della donna, che fortunatamente si è salvata. Ma quando Rick chiede notizie del bambino, Anne risponde stupita: “«Noi non abbiamo figli»”. 
Questo è, in sintesi, l’inizio de L’uomo che credeva di essere se stesso di David Ambrose, un romanzo pubblicato per la prima volta nel 1993 e recentemente riproposto da Meridiano zero nella collana “Sottozero”. 
Le vicende narrate nel libro ruotano attorno all’esperienza traumatica del protagonista, che si ritrova improvvisamente catapultato in un universo parallelo in cui gli elementi di quella che ha sempre considerato la realtà sono scomposti e rimontati in un ordine completamente diverso. Questo meccanismo coinvolge non solo la sua famiglia, ma anche gli amici, il lavoro, le persone con cui viene a contatto. Alle conseguenze di tale stravolgimento, si aggiunge l’accusa di essere uscito di senno e l’inevitabile ricovero in un centro specializzato in malattie psichiatriche. 
Le tematiche del romanzo, ben scritto e pubblicato in una versione snella ed economica, danno al lettore l’impressione di trovarsi tra le mani un libro di fantascienza degli anni Sessanta, seppure con alcuni elementi debitamente aggiornati. L’universo parallelo, l’immancabile riferimento alla teoria dei quanti, una versione rivista e corretta del concetto di viaggio nel tempo sono infatti “ingredienti” usati e abusati da intere generazioni di scrittori di fantascienza e conferiscono al libro un alone di déjà vu. 
Il guizzo di originalità introdotto da Ambrose è l’approccio psicoanalitico al topos dell’universo parallelo. In questo caso il protagonista non si limita semplicemente a occupare il corpo di un se stesso che vive una realtà diversa, ma dialoga con lui, condivide le sue esperienze, discute con il suo alter ego sulle decisioni da prendere, in un meccanismo molto simile a quello dello sdoppiamento della personalità. Ed è proprio grazie ad alcuni dei rimedi sviluppati dalla scienza di Freud, che Rick Hamilton ritroverà il proprio io e la strada per tornare nel mondo in cui scorre la sua vita. 
Questo espediente tuttavia non basta a promuovere un romanzo che, purtroppo, non possiede forza visionaria o capacità introspettiva sufficienti per avventurarsi in un terreno ampiamente esplorato dai maestri di questo genere letterario. 
 
Andrea Borla
 
 
Le immagini sono (C) Carlo Peroni 2001 
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