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Una recensione 
a cura di Andrea Borla
 
 
 
 
 
Marco Bosonetto, 
Requiem per un’adolescenza 
prolungata, Meridiano zero, Padova, 2008
 
 
Spesso vengono definiti “romanzi generazionali”, testi che fotografano caratteristiche, sogni, idiosincrasie e aspettative di coloro che, di volta in volta, sono adolescenti, liceali, universitari o appena entrati nel mondo del lavoro. Se i protagonisti superano la trentina l’aggettivo scompare, come se le generazioni finissero con il pieno inserimento familiare, sociale e professionale nel cosiddetto mondo dei grandi
Nonostante il superamento dei limiti di età, mi sento comunque di definire “generazionale” anche Requiem per un’adolescenza prolungata di Marco Bosonetto, i cui protagonisti si muovono sullo sfondo di una Torino surreale e a tratti grottesca. 
In un futuro che appare possibile oltre che prossimo, il Parlamento promuove la Campagna per lo sradicamento dell’Adolescenza prolungata, una sorta di azione coattiva che aiuti (o costringa) i giovani incapaci di staccarsi dalla famiglia a trovare il proprio posto nella società. 
Candido Neve è fermamente convinto che tutto ciò non lo riguardi. Lui è un intellettuale proletario, “una persona cui l’iniquità dei tempi e della società negava un reddito decente, un individuo che anziché piegarsi al pensiero unico che lo vuole incatenato a un’occupazione sottopagata […] proseguiva la sua ricerca, rifiutandosi di spegnere la sua coscienza critica”. 
Eppure Candido si trova inaspettatamente a fare i conti con i funzionari statali incaricati di dare attuazione alla Campagna. L’appartamento di sua nonna, proprio sullo stesso pianerottolo di quello dei genitori, non è considerato il segno di una sufficiente separazione dalla famiglia d’origine, soprattutto se sono gli stessi genitori a sporgere denuncia alle autorità. E in effetti, come dar loro torto? Quale altro metodo utilizzare per far spiccare il volo a un trentenne laureato in lingua e letteratura russa, le cui occupazioni contemplano le traduzioni in russo di istruzioni per il montaggio di frullatori, il remixaggio all’infinito di “brandelli di tesi in vista di fantomatiche pubblicazioni accademiche” o lo “scrivere recensioni illeggibili sul settimanale diocesano che tutti compravano solo per i necrologi”? 
Candido finisce a percorrere in pigiama le strade di Torino, per poi trovare asilo presso alcuni amici. Le vicende che lo vedranno protagonista tesseranno collegamenti tra gli ideatori della Campagna e i suoi attuatori, tra giovani mamme che causano a Candido infatuazioni improvvisate e improbabili membri di un’immancabile, almeno per Torino, setta satanica. 
Il viaggio che Marco Bosonetto riserva a Candido Neve, ingessato in un’utopia d’altri tempi, porta inevitabilmente verso la crescita personale del protagonista, all’evoluzione che fa diventare “prima uomini e poi figli”, all’allontanamento progressivo da quella condizione di bamboccione che, a tutti i costi, la società vuole sradicargli di dosso. L’unico dubbio è se, una volta diventato grande, Candido manterrà l’innocenza indispensabile per sfuggire a un sistema che “non tollera solidarietà che non si basino sul denaro”. 
 
Andrea Borla
 
 
Le immagini sono (C) Carlo Peroni 2001 
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