Una recensione
a cura di Pietro Pancamo
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Sulla scorta di un’agilità narrativa che, ravvivata da un’esemplare capacità di sintesi, gli permette di compendiare nello spazio esiguo di cinquantaquattro pagine appena un intero universo di vicende, pensieri, conflitti, sentimenti e drammi familiari, il romanzo breve Con il volto di terra — dato alle stampe nel febbraio scorso da Lucia Visconti (scrittrice sospinta ora come sempre da una vigorosa fede cattolica) — si dimostra simile all’ostia consacrata (minuta, certo, eppure in grado di racchiudere l’immenso).
È sin dall’inizio che il libro ci pone dinanzi alle angosce del giovanissimo personaggio principale: il bravo Cosimo, chiamato davvero presto al coraggio e che, forzato dalle circostanze vuoi a sostenere vuoi a sopportare due genitori immaturi e costantemente in rotta, già in età precoce (gli undici anni) vede la propria adolescenza collassare in Golgota e tramutarsi in un Calvario autentico, gravato ovviamente da ben tre croci: Luca (padre del piccolo, nonché ricco capitano d’industria, zavorrato da un carattere irascibile e debole che gli impedisce di ribellarsi o sottrarsi agli obblighi onerosi di manager a tempo pieno), Ginevra (madre del protagonista, nonché pittrice ipersensibile che, troppo fragile per reagire alla sofferenza e alle contrarietà, sarebbe pronta ad abbandonare anche il figlio, addirittura, pur di ritrovare la serenità perduta) e Riccardo (secondo marito di Ginevra, nonché uomo onesto e affettuoso, che però agli occhi di Cosimo resterà inevitabilmente una presenza “sovrannumeraria” e imbarazzante — quantunque, per certi aspetti, non sgradita e probabilmente amata, dal bambino).
Ebbene, dopo una serie di accadimenti tumultuosi e di tragiche morti, queste tre figure prenderanno destini o vie diverse, inoltrandosi per cammini impervi o sfocianti nel nulla. L’unica strada fruttuosa e immune da pericoli di sorta sarà quella imboccata da Ginevra, donna che — fra l’altro guidando Cosimo, forse inconsciamente, a guarire da una profonda crisi depressiva e poi a raggiungere, da adulto, la felicità — si riscatterà dagli errori in cui era precedentemente incappata e rinascerà di slancio. Tanto che adesso l’arte non sarà più, per lei, solo un vezzo femminile e grazioso (magari appositamente ordito per incantare l’animo di facoltosi industriali), ma finalmente un riparo sincero, ombreggiato dai sorrisi coraggiosi d’una gioia consapevole e nel quale rifugiarsi per propiziare con riconoscenza — attraverso il rito mistico delle icone (volti sublimi e santi che dipinti con la terra, una terra salvifica, contengono tutto il mistero della consolazione in Cristo e nella Vergine) — il manifestarsi e compiersi di un fenomeno meraviglioso: la transustanziazione del dolore (quello che perseguita in continuazione le piccole storie di noi singoli individui) in amore e impareggiabile speranza.
Pietro Pancamo
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Le immagini sono (C) Carlo Peroni 2001
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