Una recensione
a cura di Annalisa Macchia
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I libriccini da collezione, nella collana “Aretusa” della casa editrice LietoColle, si sono arricchiti quest’anno della nuova, bella silloge poetica di Anna Toscano.
Non tragga in inganno il titolo all’ora dei pasti, dal sapore così piacevolmente intimo e familiare. Esso procede da una delle liriche più afflitte: “è all’ora dei pasti/ che sento il tuo non esserci”. In questi versi, infatti, la dolorosa solitudine dell’autrice, forse il tema principale della raccolta, ammanta e “narra” l’atto della quotidianità che più di ogni altro acuisce l’abbandono, favorendo il libero sfogo di pene e angosce.
La presentazione di Alessandro Agostinelli pone l’accento sull’affanno interiore dell’autrice, sulla sua scrittura “secca e precisa” tra note di vitale cinismo ed ironia, ed è di prezioso aiuto per entrare in questo complesso universo poetico.
Anna Toscano è insegnante di lingua italiana a “Ca’ Foscari”, giornalista, attiva collaboratrice di iniziative culturali legate alla poesia, ma è anche, e direi soprattutto, valente fotografa, con numerose mostre e collettive alle spalle.
Poesia e fotografia: una duplice passione, esternata con nitida maestria sia nei versi che negli scatti. Unica, però, è la matrice che l’ha determinata.
Le sue poesie brevi, straordinariamente pulite, pungenti, veri epigrammi talvolta, carpiscono fotogrammi di un mondo interiore, come le foto catturano dettagli di un mondo esteriore.
Con sguardo attento, autoironico, l’autrice, che quando ha in mano la sua macchina fotografica scruta e cattura i “suoi” dettagli (seppure appartenenti ad un mondo esterno), mentre scrive scandaglia i suoi sentimenti, riporta in superficie la parte più dolorosa di se stessa e la affida al foglio, non di rado con rabbia, quasi volesse liberarsene. Sarcasmo e ironia, scudi sempre tesi a difesa dell’anima, non sono però sufficienti a mascherare il tono profondamente triste di questi versi.
Lo stile è sicuro, moderno, elegante. Anna Toscano, pur privilegiando un ritmo rapido e un linguaggio attuale, sapientemente si avvale anche di metrica e di rima, come nella bella sono sola ma non si vede, che, qua e là, regalano tocchi di grazia e leggerezza ai suoi versi.
La semplicità del suo dettato linguistico e i numerosi richiami alla quotidianità potrebbero, a prima vista, sconcertare un lettore in cerca di effetti speciali, ma, a guardar bene, è proprio dietro questo mondo di tutti i giorni che il dolore (quello di cui la vera poesia si nutre) prende più corpo facendosi intollerabile a volte, reclamando ascolto.
Ma Anna Toscano è forte ed ha strumenti ben affilati (ed affinati) per combattere la sua battaglia. Non esclusa la scrittura: “la pelle diventa parole/ se ne può parlare/ scrivere, raccontare”.
Questo non significa che il percorso non sia arduo, segnato da stanchezza, da voglia di rinuncia: “amanti sparpagliati come figurine/ inanellati come belle statuine/ ce l’ho ce l’ho mi manca/ dio di questo gioco come sono stanca”. Tuttavia, quello che conta è l’esito finale. Nel tono sarcasticamente spietato con cui l’io dipinge la causa del suo tormento, si percepisce l’inconscia spinta della sua vitalità, pronta ad aggrapparsi ad ogni appiglio possibile per non rimanere imprigionata in quella “nicchia” di solitudine della splendida percepisco corporea la distanza.
Significativa, a questo proposito, la poesia scendo, in cui l’autrice, immersa in un’atmosfera irreale, armoniosamente scandita dal continuo, quasi ossessivo ripetersi della parola “scendo”, gradatamente si cala in una immaginaria profondità, progressivamente lasciandosi alle spalle piani e scalini, tristezze e dolori, finché approda al “pianoterra del nulla dove/ le porte aprono subito alla strada/ liberi di prendere una nuova via/ o di restare”.
Un accenno alla consapevolezza della nostra libertà di scelta, alla speranza di riuscire a non farsi schiacciare dal dolore.
Questa speranza sembra accentuarsi e metaforicamente concretizzarsi nell’ultima lirica, dove il linguaggio cambia tono, diviene più rarefatto, più puro e le immagini si distaccano dalla realtà, giocosamente aeree e colorate.
Riporto per intero le poche, ma emblematiche parole della poesia: “un elefante azzurro/ vola sopra/ una notte/ arancione/ che non si posa”.
Mentre il “peso” si dissolve nell’azzurro e vola via, restano, comunque, negli occhi di chi lo osserva, il fascino e il mistero degli intensi colori vissuti.
Annalisa Macchia
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Le immagini sono (C) Carlo Peroni 2001
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