Scritture d’avanguardia
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Quale il significato del termine avanguardia oggi? Quali le valenze estetiche ed etiche e il peso strategico-politico dell’avanguardia nella società odierna, stravolta dall’invadenza ossessiva dei codici massmediatici, che hanno corrotto e mercificato la parola, il linguaggio, addirittura il modo stesso di esprimersi e comunicare?
La rubrica, coordinata a due voci da Francesco Muzzioli e Marisa Napoli, si configura come spazio virtuale, flessibile e accogliente che possa contenere esempi ma anche input di scritture d’avanguardia.
Quale l’obiettivo? Segnalare voci, indicare percorsi, suscitare e ospitare dibattito, facendo il punto su modalità di analisi critiche, documentandole.
Da una parte le scritture d’avanguardia, dall’altra la messa a fuoco dello status quo e delle tendenze, ci guideranno nell’universo dei linguaggi, per leggere criticamente la realtà che ci circonda, per svegliare coscienze assopite, per svelare, affinché se ne acquisisca consapevolezza, come ci poniamo nel mondo.
Ci piace rilanciare un appello particolare, che potrebbe risultare programmatico per una scrittura avanguardista: quello di un “alieno” interessato alla scrittura che scateni interrogativi e nello stesso tempo dia una sferzata di energia vitale: “mando un appello... da questo avamposto terrestre... un appello a tutte le costellazioni... a tutti gli strampalati del cosmo... urge energia... mandate energia verbale... servono scritture aliene, abnormi, eslege, anticonformiste, stravaganti, ghiribizzose, sorprendenti, insolite, anomale, anarchiche, sproporzionate, disarmoniche, irregolari, mostruose, grottesche, dissonanti, eterogenee, polemiche, alternative, antagoniste... su tutti i supporti possibili, non importa... piene di interruzioni, interferenze, rotture, salti, scarti, décalage, pluralismi linguistici, montaggi, invettive, sarcasmi, frammentazioni, umorismi, ironie e autoironie, ribaltamenti, tagli, manipolazioni, parodie, balbettii, fonazioni, gestualità scomposte, isterismi, straniamenti, allegorie, irrealismi, instabilità, paradossi, problematicità, incrinature, punti di crisi, disfunzionamenti, fallimenti, scoronamenti, indecisioni, complicazioni, impedimenti, disturbi, trovate, estrosità, bizzarrie, trappole, trabocchetti, contrasti, baraonde, bagarre, somatismi, ticchi, irriverenze, improprietà, discordanze, cacofonie, deformazioni, caricature, esagerazioni, crudeltà, eccentricità, irruzioni, catatonie, disordini, espedienti, inversioni, accelerazioni, stravolgimenti, scricchiolii, falsetti, contraffazioni, frantumazioni, insensatezze, assurdità, asprezze, spezzature, radicalizzazioni, conflittualità, irrisioni, autocritiche, sberleffi, intrichi verbali, incoerenze, contorsioni, acrobazie, accumuli, scorciatoie, spappolamenti, scivolamenti, stacchi, pulsazioni, sincopi, tensioni, cariche oppositive, elementi divergenti, silenzi, vuoti, digressioni, deliri, deflagrazioni, stranezze lessicali, condensazioni, mormorii, rumori, attriti tra le parti, sommovimenti, gridi, urti, sconnessioni di piani, eccedenze, metalinguaggi, afasie, alterazioni, grammelot, inserti aforistici, calembour, varianti gergali, sproloqui, innesti progettuali e teorici, estenuazioni, dissipazioni, siparietti, tormentoni, dialoghi incongrui, fantasie corrosive, brandelli di stereotipi, rallentamenti eccessivi, polarizzazioni, legnosità, rappresentazioni dell’irrappresentabile, peggioramenti iperbolici, sfalsature, contraddizioni...
insomma tutto quanto può far vivere le parole.
Ci vuole un gusto particolare per tutto questo?... certo, c’è gusto... per me c’è... Ma presto, per favore... fate presto, non si sa quanto possa durare un Anno Zero”1.
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1 La citazione è tratta da Marisa Napoli (a cura di), Vieste avamposto d’avanguardia. Edoardo Sanguineti e Gaetano delli Santi: due generazioni d’avanguardia a confronto, (voce aliena di Francesco Muzzioli, saggio introduttivo di Paola Scotti), Fabio D’Ambrosio Editore, Milano, 2006, pp. 158-159.
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Una recensione
a cura di Francesco Muzzioli
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Questo ultimo testo poetico di Antonella Doria ha dalla sua il respiro ampio del poemetto e nello stesso tempo riguarda un tema “culturale” molto importante e attuale. Il Mar Mediterraneo, cui il testo è dedicato fin dal titolo, non è infatti oggetto di escursione paesaggistica, e neppure semplicemente di protesta ecologista. Il Mediterraneo è — come del resto in altre prospettive recenti, prima fra tutte l’opera di Pedrag Matvejevic — uno spazio, simbolico ma anche concretamente politico, di incontro e di interscambio tra i popoli, vista la diversità culturale e addirittura i fondamentali conflitti che si affacciano alle sue coste, con la conseguente urgenza di una prassi di confronto e di relazione (e, in ciò, la posizione centrale dell’Italia è fuor di dubbio).
Antonella Doria affronta questo tema così nodale per noi oggi con una visione giustamente pluralista e aperta all’alterità, mettendo a fuoco un mondo altamente contraddittorio, diviso tra la “teleimmonda nequizia” e i “migranti” disperati, le reminiscenze mitiche e le dure realtà, tra mostruosità vecchie e nuove. Vi trova campo, come deve essere in un orizzonte ampio, il plurilinguismo che contempla citazioni in greco, in arabo, persino in curdo.
Eppure, sebbene il tema affrontato sia di tutto rilievo e il contenuto quindi salga doverosamente in primo piano, l’allestimento formale della poesia non è assolutamente da trascurare. E innanzitutto mi sembra importante notare cosa avviene nel testo a proposito della sintassi. Lo stile della Doria, anche in precedenti prove, si fonda su di un discorso scandito attraverso la separazione delle parole, mediante leggero aumento degli spazi bianchi intermedi. Basta vedere un breve excerptum dall’inizio: “medi terraneo corpo/ eterno sempre frattale/ mare di febbre ovunque/ d’acque culla rive/ di sale lega avvolge/ fragile forte/ terra tribale” (p. 12). E via di questo passo. Questa “distanziazione” dei membri del verso sembra suggerire, intanto, una dizione che calca i singoli membri, con forti pause tra le parti, tanto che si potrebbe pensare a una metrica basata non sul numero delle sillabe, bensì sui “piedi”, al modo degli antichi, una suggestione peraltro supportata dalla frequente elisione dell’articolo. Già nell’avvio che ho riportato riconosciamo alcuni versi divisibili in tre membri, altri in due. Si tratta allora di individuare un ritmo, una cadenza. Con questi procedimenti il testo della Doria perviene al risultato della evidenziazione delle sue singole componenti semantico-verbali. Si direbbe un processo di lessicalizzazione: infatti, eliminate o diminuite le particelle di contorno, ciascuna parola portatrice di senso viene proposta come nodo di una rete di relazioni. Non è certo una scrittura telegrafico-futurista (e sarebbe inutile ripristinare le parti mancanti con una parafrasi del tipo: “Il Mediterraneo, nel suo corpo enorme eppure divisibile, collega e comprende tutte le terre e le tribù”); il testo piuttosto lavora per costellazioni di parole, prima distanziandole poi costringendo il lettore a cercare collegamenti per associazione, sfruttando quindi le sfumature polisense (nel brano sopra riportato la “febbre” è insieme malattia e agitazione inesauribile; così le “rive/ di sale”, evocano la produzione e la sete; il “tribalismo” è sia letterale che metaforico). Vediamolo anche in quest’altro passo, dove ancor più gli elementi concreti della geografia si mescolano con elementi astratti e rimandi simbolico-allegorici: “madrepora scogliera/ su liminare mondo forse/ un mar morto uno stige/ scheletro calcareo atollo/ barriera sorge non/ soglia fluendo verso/ spazio di mistura/ all’orizzonte s’erge/ in versi sorgiva di/ verità oblio luoghi/ menzogna istante/ per istante la vita fabbrica” (p. 20).
Si può dire dunque che questa poesia opera una scarnificazione e rarefazione del linguaggio e che per farlo procede secondo un movimento dialettico di divisione e di unione, un moto molto simile a quello marino di andata e ritorno. Proviamo a vedere questo fenomeno nelle tre possibili occorrenze che si registrano, per ordine: unione forte, nelle forme di collegamento per somiglianza di suono (paronomasie, rime, allitterazioni); unione contrastata, nelle forme di contiguità tra incompatibili (gli ossimori); divisione forte, nelle forme di rottura della parola (tmesi, enjambement).
Questo procedimento che “unisce il diverso”, potrebbe essere considerato come l’equivalente formale della spinta utopica.
Questo procedimento che accosta gli opposti, potrebbe essere considerato come l’equivalente formale della trattativa in conflitti insanabili.
Questo procedimento potrebbe essere considerato come l’equivalente formale della differenza e della rottura moderna.
Ora, tutti questi procedimenti accompagnano precisamente la costruzione dei significati e il “senso” profondo del testo. La scrittura di Antonella Doria, infatti, nel suo sguardo aperto alle radici e ai popoli, è attraversata da una prospettiva riunificante, l’utopia della coesistenza pacifica. Una prospettiva affidata principalmente alle donne, riaffermata al termine di ogni brano da un tristico di tre versi; e l’opera delle donne, non è solo affidata allo slancio ideale e simbolico, ma anche, proprio a gesti quotidiani, come il tessere e l’impastare, che rimandano a una unificazione di elementi (tessuto=testo).
Nello stesso tempo, però, insiste la consapevolezza delle difficoltà che impediscono l’unione e della incrinatura moderna che attraversa il linguaggio stesso e lo separa dall’essere. In proposito, leggiamo alcuni passi importanti: “(raccogli i fiati [madre]/ i segni raccogli/ raccogli frammenti/ disfatte parole/ in cerchi di macigno/ silenzio)” (p. 23). Dove è vero che la figura archetipica e protettiva della “madre” sembra in grado di ricomporre l’infranto, però soltanto attraverso una “raccolta” di particolari spezzati (“frammenti”) e di elementi linguistici irrimediabilmente “disfatti”. Tanto che l’esito non sarebbe una nuova sistemazione, ma un insieme assai aspro (un “macigno”) e dal senso nullo (il “silenzio”).
Ancora: “[...] parola di vento/ muove scacchi su geografiche/ carte strappate strade/ luoghi di freddo inquietudini” (p. 31). In cui appunto la parola sembra avere la scarsa consistenza del vento (“parole al vento”, sarebbero forse inutili?), mentre le “carte strappate” sono certamente la mappa delle assurde divisioni della guerra, ma anche le rotture imposte alla scrittura stessa.
L’utopia ha dunque bisogno di un faticoso e sofferto lavoro, di prove e riprove sperimentali, di affermazioni perplesse. In vari punti, Antonella Doria inserisce nel testo il termine “partitura”. Questo termine mi pare quanto mai adatto a indicare il gioco dialettico di “coesioni fratture” (p. 36, un altro ossimoro) che anima la sua poesia. “Partitura”, infatti, in due sensi: sia nel senso del dividere in parti e quindi della scansione del testo e della anatomia delle parole, sia nel senso musicale della combinazione degli scarti e dell’uso delle entità (i monemi della lingua) come note su un pentagramma. Per ottenere un’armonia complessa, difficile e precaria, com’è oggi la lotta da fare in favore della convivenza delle culture.
Francesco Muzzioli
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Le immagini sono (C) Carlo Peroni 2001
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