Una recensione 
a cura di Pietro Pancamo
 
 
 
 
 
Paola Dallardi, 
Incontroluce, La Riflessione, Cagliari, 2007
 
 
Ecco un volume di poesie nel quale l’esperienza consapevole del buio e dell’errore si configura come redenzione terrena e quindi, per il singolo individuo, come cristica croce da scalare per intero, con le mani insanguinate e deboli della speranza, per risalire dall’abisso della cecità sino a ricolmarsi lo sguardo di sole e tramutarsi gli occhi in stimmate di luce. Perché appunto la luce è il risultato sublime, se non la rivelazione, che ciascuno di noi dovrebbe sforzarsi di raggiungere, invece di dormire vigliaccamente, impastoiato nelle “[...] maschere senza volto” di una vita fasulla, apparente e di una notte reale (o, meglio, dominante) che s’incastona fra l’uomo e la salvezza come ostacolo principe, come percorso obbligato d’espiazione (cioè iniziazione?): insomma come distanza quasi impenetrabile che — a spiegarcelo prontamente è Paola Dallardi, pittrice e scrittrice residente a Cremona — può essere valicata esclusivamente alla condizione ineludibile d’“inscenarci” aquile imperfette, per lanciarci in un volo sì sciancato e zoppo (ossia privo d’ali), ma che inevitabilmente, se condotto con perseveranza e coraggio, non mancherà di scavalcare le tenebre narcotiche dell’illusione per proiettarci vittoriosi nel bagliore incontenibile della scoperta e della verità. Presente e incancellabile, quest’ultimo (questo splendore palpitante e sterminato), anche all’interno della raccolta medesima, dove riesce a rendersi tangibile e concreto attraverso un espediente tipografico tanto semplice quanto prezioso: nel libro infatti ogni componimento occupa, della pagina in cui si trova, una sola facciata, mentre l’altra (completamente sgombra) si mantiene di un bianco intatto e libero, trasformandosi per ciò stesso in una lamina di chiarore intenso che, sfiorate le dita del lettore, s’innesta “sgargiante” nella rilegatura a mimare quella luce radiosa che tutta la silloge — prodigandosi instancabile in immagini e testi che talora s’avvicinano per stile agli accenti vuoi visionari vuoi profetici di un autore “miliare”: Gibran Kahlil Gibran — ininterrottamente predica e (br)ama. 
 
Pietro Pancamo
 
 
Le immagini sono (C) Carlo Peroni 2001 
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