Una recensione 
a cura di Pietro Pancamo
 
 
 
 
 
 
 
Monia Gaita, Chiave di volta
Casa Editrice Montedit, 
Melegnano, 2003
 
 
Eccoci dinanzi ad una silloge di liriche in cui l’arguzia d’un cuore, in costante all’erta, è brava a percepire nella vita quotidiana il meccanismo davvero continuo (per non dire ostinatamente insondabile) sull’onda del quale delusione e speranza in genere si fondono assieme — l’una nell’altra — per sovrapporsi e sfociare in un “serrato”, indissolubile coacervo: sì, proprio quello congestionato e convulso che, denominato malinconia, costituisce innegabilmente l’energia instabile del giorno e la corrente che ci spinge o rallenta — a seconda delle ore — spesso consumandosi in fretta, per assumere funesta le sembianze psichiche del tedio. L’autrice le ritrae puntualmente (in versi come “àngolo omòlogo, mio nòdo in gòla [...]”) con un gioco incessante di allitterazioni e accenti, che non smette mai di esaltare l’emblematica “o”, carattere tondo, “accerchiante” e ad anello che — con la sua forma di piccola orbita planetaria in “martellante” rotazione su se stessa o, magari, di cappio “scorsoio”, pronto a stringersi “inestricabilmente” — è di certo il più adatto ad imitare con perizia impeccabile il moto o meglio l’assedio, sia avvolgente che soffocante, dell’uggia ripetuta. Si sa: quest’ultima, con il suo peso opprimente e morboso, si risolve forse — per un individuo normale dall’anima limitata — in rovina o baratro, in sconfitta o resa, ma per l’afflato spirituale e intuitivo di un artista si tramuta invece nella “chiave di volta”, nella scoperta decisiva in grado di far chiarezza sull’essenza prima del creato. È così che a Monia Gaita la noia, quasi fosse uscita da un film di Michelangelo Antonioni (senza ovviamente dimenticare di portarsi appresso, per intero, la propria carica “investigativa” e disvelante), spiega come ogni cosa al mondo sia nata di soprassalto dalla morte e come soltanto l’amore per la poesia — spalleggiatrice e testimone (“complice oculare”, dunque?) di tutte le redenzioni — possa ricondurre dal vuoto all’azione, dal nulla “pneumatico” ad un’esistenza piena. Un’esistenza “atlàntica di luce [...]” in cui “nessun rizòma [...] sarà vietato” e che, ad esempio nel componimento Dal bòzzolo del càos, si rispecchia nello stile “immaginifico” di un’autrice sorprendente e innovativa, già forte di sei libri colmi d’un grande talento. 
 
Pietro Pancamo
 
 
Le immagini sono (C) Carlo Peroni 2001 
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