Il sentiero
“del comico e dell’umorismo”
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“Vivere nel mondo come non fosse il mondo, rispettare la legge e stare tuttavia al di sopra della legge, possedere come se non si possedesse, rinunciare come se non fosse rinuncia: tutte queste esigenze d’un’alta saggezza di vita si possono realizzare unicamente con l’umorismo”.
(Hermann Hesse, Il lupo della steppa)
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“Un senso del comico abbastanza vivo da permetterci di vedere le nostre assurdità non meno che quelle degli altri può impedirci di commettere tutti i peccati, o quasi tutti [...]”.
(Samuel Butler, Taccuini)
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“Dove non c’è umorismo non c’è umanità; dove non c’è umorismo (questa libertà che ci si prende, questo distacco di fronte a se stessi) c’è il campo di concentramento”.
(Eugène Ionesco, Note e contronote)
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s-s-s-Salti, c-c-c-Cambi!
-Un racconto di Alessandro Oliviero-
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Tutto è cominciato un giorno di febbraio che adesso non esiste più.
La prima scatola di leccornie cadde dal cielo in modo praticamente inesorabile, colpendo in pieno la testa della mia vicina di casa, la signora Senzanome. Tra il sangue, il corpo immobile e dei disgustosi frammenti grigi, erano sparsi anche molti cioccolatini, scelti — pareva — fra quelli più venduti e mangiati.
Eppure, all’inizio, nessuno sembrò trovare la cosa strana, al giorno d’oggi ne precipitano di oggetti dal cielo: blocchi di ghiaccio, escrementi, liquido seminale, astronavi aliene, palloni meteorologici, mongolfiere, sacchetti di immondizia; insomma, come potevano far notizia la povera Senzanome, il suo cervello spaccato e i suoi miseri e commerciali cioccolatini? Anzi, a qualcuno la cosa diede molto fastidio e si imputò l’accaduto all’eccezionale senso di esibizione della mia vicina di casa. Altri dissero che fosse stata lei stessa a suicidarsi, perché la traiettoria era stata troppo precisa, la caduta di spigolo troppo perfetta, insomma, si gridò alla truffa, al raggiro, e dopo il funerale i parenti della signora ebbero una visita dalle maggiori case di produzione di dolci, le quali chiesero un rimborso di almeno due valigie intere di monete d’oro come risarcimento per la cattiva pubblicità fatta alla loro merce. Insomma, fu una vera catastrofe. Il figlio parlava da solo: «Mamma! Perché ci hai fatto questo? Non abbiamo un soldo! E solo perché ti è piaciuto morire in un modo bislacco!».
Dico la verità. Non passò che un giorno da questo avvenimento e già l’idiota di turno aveva replicato la scena. Con la complicità di un amico aveva lasciato cadere una pesante confezione maxi di cacao in polvere dal quinto piano del palazzo direttamente sulla sua zucca da zuccone, ma non riuscì a morire. La cosa che invece gli riuscì in modo perfetto, fu l’essere ricoverato prima in ospedale e poi successivamente in un manicomio fuori città, reparto “Suicidi inopportuni con l’aggravante dell’imitazione”.
Ma questa fu solo la prima vittima della follia iniziata dalla signora Senzanome, perché ce ne furono altre, oh sì! Altre ed altre ancora!
Il nosocomio, che poi sarebbe l’ospedale, ne aveva piene le scatole di tutte le persone che ricoverava per traumi cranici o fratture dell’osso occipitale; i casi più strani riguardavano ragazzi davvero idioti che avevano provato a caricare le pistole con le praline al cocco. Insomma, le esplosioni di gusto impazzavano con una velocità ed un turbine terribile, ma presto ci rendemmo conto che era solo la punta dell’iceberg.
Di scatole ne cadevano davvero, e non sempre erano suicidi, o tentati suicidi, alle volte erano omicidi.
Chi? Quale perversa mente potrebbe uccidere in tale modo? Io non lo sapevo e davvero non l’immaginavo, lo giuro. Tutti si convinsero di una sorta di fenomeno collettivo che andava allungando i suoi tentacoli su tutta la Terra.
Mi svegliai un giorno per un rumore insistente e continuo, qualcosa che batteva sul tetto, continuamente e insistentemente, e non voleva smettere. Guai a me! Non dovevo aprire le finestre, non avrei mai dovuto farlo!
Piovevano scatole di cioccolatini dal cielo.
«Non è un maniaco», disse qualcuno.
«Sono migliaia di maniaci!», azzardò un coglione.
«Chi cazzo ci bombarda con delle scatole di dolci!?», feci io.
E poi avvenne l’inevitabile. Adesso non stiamo a dire che tutti in fondo lo sapevano, perché è qualcosa di veramente inimmaginabile. In seguito, quando la popolazione venne livellata e divenimmo tutti uguali, qualche gran capo e signore della guerra in catene confessò: «Qualcosa si sapeva, come per gli ufo, solo che quelli li abbiamo inventati in un attacco di creatività mescalinica, questa cosa invece è vera!». Grazie, grazie, ma dirlo adesso mi sembra davvero troppo tardi.
Le compagnie aeree non dovettero più preoccuparsi dei fallimenti poiché gran parte degli aeromobili fu abbattuta in quello che fu chiamato “il dolce attacco del febbraio che non esiste più ma che se fosse esistito ancora non avremmo dovuto inventarci un nome così lungo”.
Durante il bombardamento atipico le anime cadevano come mosche a causa della loro idiozia: i golosoni che provavano a prendere i cioccolatini caduti e spiaccicati al suolo venivano centrati da altre scatole, chi cercava di aiutare gli altri o di derubare i cadaveri faceva la stessa identica fine, così tutti furono costretti a rifugiarsi nelle case e a giocare interminabili partite a monopoli mentre ascoltavano il telegiornale e le ultime notizie.
Alcuni giornalisti presi da quella che comunemente viene detta “strizza dell’ultimo momento” si confessavano: «Ho raccontato balle fino ad oggi! L’aviaria e la mucca pazza e l’effetto serra e la crisi economica e la crisi dello stomaco, la sars, l’hiv, tutte balle, balle! Le abbiamo vomitate sugli schermi perché così ci avevano ordinato! Oh Dio salvami!».
E così via con altre isteriche scenette.
Intanto c’era chi diventava esperto di giochi da tavolo, di ping-pong o calciobalilla.
Ne piovevano davvero di tutti i colori dal cielo, finché un giorno tutto smise.
Così, di colpo, dopo soli ventitré giorni?
Una signora se la prese con Dio: «Questa è tutta la punizione che riesci a infliggerci? Allora è vero quello che dicono di te!».
«Perché, cosa dicono?», fece il solito ingenuo.
La signora, come la gran parte degli esseri umani, si sbagliava per molteplici fattori.
Il ventitreesimo dì, un faccione fece capolino tra le nuvole biancastre ed il cielo terso, seguito e riverito dai più timorosi sguardi che il pianeta Terra potesse offrire; tutti a naso in su guardavano quest’apparizione pazzesca ed insolita. Prima il bombardamento, poi non c’era niente, adesso quel faccione enorme, barbuto e burlone di un uomo che indossava un ridicolo cappello viola sulla testa.
«È Dio!», urlò la signora.
«Dio ama i cappelli viola? Mi sembra così metrosexual!».
«In effetti è un po’ ambiguo… ».
La fila di commenti si interruppe improvvisamente.
Fu allora che la bocca spalancata e terribile, dall’alto emise un suono profondo e caldo, una sonora risata. L’alito raggiunse persino noi che eravamo a terra.
«Uhuhuh! Siete troppo! Mi avete fatto ridere fino a crepare!!».
Dopo aver detto codeste parole, quella figura onnipotente si rotolò come un bambino, mostrando il resto del suo corpo vecchio, avvizzito, ed una tunica lunga che non tratteneva neanche i genitali appesi.
«Sei Diooo?», urlarono dal basso.
Nessuna risposta.
«Sei Diooo?», urlarono ancora.
Niente.
«Sei Diooo?».
Una risposta alla fine la diede, il lubrico ma simpatico vegliardo, però non fu quella sperata, come potete immaginare.
«Diooo? E che roba è?».
Le vecchie si guardarono fra loro, così come i giovani; poi tutti concordarono: «No, evidentemente non è Diooo».
Allora chi è?
«Io abito qui, qui di sopra, sul soppalco, non lo sapevate?».
«No, veramente no. Perché, c’è un soppalco lì di sopra?». Era il sindaco che parlava. Era l’unico sopravvissuto della sua famiglia dopo che la moglie obesa era morta per aver cercato di raccogliere più dolci possibili ed era stata beccata in pieno da una scatola.
Quel tizio che ci guardava dall’alto si fece un’altra grassa risata, poi ruttò un arcobaleno. Dopo aver fatto queste cose, sembrò volerci degnare di una risposta: «Uhuh! Vi è piaciuta la pioggia di cioccolatini? Bella vero? Sono stato a pensarci anni prima di ideare un attacco così divertente!».
A questo punto ci fu un coro di voci: «Buuuu! Buuuu! Allora è stato lui!».
«Ma certo, uhuh! Io vivo da secoli qui, sul soppalco che ho costruito fra Gea ed Urano1, sono io che rutto gli arcobaleni, che tiro l’acqua e provoco le piogge, vado di corpo e grandina copiosamente. Non vi dico poi la neve… ».
«Adesso cosa ne farai di noi?». Ormai lo stupore non esisteva più, solo una grande curiosità, anche se in effetti nessuno ancora credeva a ciò che stava accadendo.
«Oh, che impazienti che siete! Va bene, va bene, facciamo le cose di fretta, forza!», tuonò ironicamente il nostro nemico.
Ad un tratto la terra tremò; come in ogni catastrofe biblica che si rispetti eravamo pronti ad un terremoto che avrebbe precipitato gli animi perfidi fra le braccia di chissà quale mostro infernale, invece dalla terra fuoriuscì qualcosa di grosso, di enormemente grosso e nero, di enormemente grosso, nero e zamputo, zamputo e antennuto.
«Formiche giganti!!».
Fu il panico, inutile dirlo, gli uomini scappavano come insetti, e gli insetti inseguivano come uomini, il tutto avvolto dalla contagiosa risata del vecchio sul soppalco. Soppalco? Perché, esiste un soppalco?
Rimasi immobile ed una formica mi spruzzò dell’acido sui vestiti con una mossa grottesca: i tessuti si incenerirono sulla mia pelle. A qualcuno andava anche peggio, visto che molti erano a terra senza faccia, il volto che sembrava una zucca di Halloween sbatacchiata in una lavatrice.
«Andate formiche, andate!».
«Ma chi sei!? Cosa sei?», gridò ad un tratto un transessuale che si era liberato dagli insetti.
«Io? Io sono un mago! Un mago! Un mago! Uhuh».
Quando tutti furono ridotti in schiavitù, la faccenda divenne anche più chiara, ma sarebbe stato meglio che non lo fosse stata mai. Quel mago, che mai e poi mai riuscirà a starmi completamente antipatico, aveva stipulato un patto con le formiche, secoli fa.
«Formichine mie! Vi regalerò il mondo, in cambio delle briciole che raccoglierete per me! Vi renderò enormi e potrete schiacciare quei cosi che affollano la Terra!».
Sì, sì, avete capito benissimo, le briciole. Come, non lo sapete? Le briciole delle formiche contengono l’elisir di lunga vita, la formula dell’immortalità, ma dài, non ditemi che non ci avevate mai pensato o non le avete mai assaggiate! Non posso darvi torto, dopotutto nessuno poteva saperlo prima di adesso, che poi è troppo tardi. Adesso è sempre troppo tardi.
Oggi, a distanza di un mese, lavoriamo tutti in giganteschi cunicoli sotterranei, tenuti ben d’occhio dalle formiche giganti, che adesso possiedono il mondo. Qualche politico furbone o avvocato mascalzone tentò di fare accordi con il mago, ma il mago non è Dio, non dice sì a chi si pente. Così tutti gli infingardi che chiesero di allearsi con lui, li accoppò con delle pesanti scatole di cioccolatini, poi ci pisciò sopra.
«Io lo sapevo, ma mi avevano imposto il silenzio militare» — gridava un astronauta sodomizzato da una formica — «Che il diavolo mi porti, l’avessi detto prima! Dallo spazio e dagli aerei leggevamo i codici che le formiche segnavano sul porfido con il loro acido, ma non potevamo dirlo, io l’avrei voluto fare… ».
«Ma sta’ zitto!», lo sgridavano gli altri tra i picconi ed il sudore fangoso.
Avete mai visto le file interminabili e le strisce nere che le formiche lasciano sui pavimenti di porfido con il loro acido formico? No? Magari non sapevate neanche che le formiche secernessero un acido; bene, come avevano previsto! Tutto alla perfezione!
Esse scrivevano dei codici d’attacco per il mago che vive sul soppalco, delle strategie, delle mappe; tutto era programmato dal grande buontempone perfido e dagli insetti più schiacciati dai bambini. Adesso la regina delle formiche ha un intero allevamento di mocciosi tenuti in catene, che ogni tanto si diverte a spruzzare con l’acido.
Il mago vive all’infinito crogiolandosi, le formiche regnano sulla Terra, e noi lì sotto a lavorare.
Tutto questo non ha una morale, ed è ciò che fa più paura, perché tutto questo non ha fottutamente una cazzo di morale.
E c’è ancora qualcuno che dice: «Secondo me la signora Senzanome se l’è buttata da sola quella scatola in testa!».
Alessandro Oliviero
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1 ^ Fra Gea ed Urano=fra Terra e cielo.
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