Altre recensioni di Luca Filippi: L’apprendista e La Presenza [...] 
 
 
Una recensione 
a cura di Luca Filippi
 
 
 
 
 
 
Laura Liberale, 
Tanatoparty, Meridiano zero, 
Padova, 2009
 
 
La morte in Tanatoparty, romanzo d’esordio di Laura Liberale, è color rosa shocking. Intendiamoci: non mancano, in quest’opera breve e graffiante, dense pennellate nere, anzi nerissime. Ma, al di là dei particolari descritti con tanta spietata precisione, quello che emerge è la ricerca di un’estetica del non essere, la ricostruzione posticcia di ciò che è per sempre destrutturato e dissolto. 
La storia prende le mosse da un viaggio in treno: Mina, reduce da un recente intervento di isterectomia, sta percorrendo i quattrocento chilometri che la separano dal feretro della sorella Lucilla, in attesa di sepoltura. Il loro non è stato un rapporto facile, e anzi Mina cova una sorda rabbia nei confronti della defunta sorella più bella, interessante e spregiudicata. Lucilla Pezzi era l’icona della postmodernità, della spettacolarizzazione dell’intimo e dell’esibizione estrema. Nelle sue performance impastava sangue e poesia, attaccando quella stessa società borghese che l’aveva nutrita e cresciuta. Anche nella morte, si rende conto Mina, Lucilla ha trovato il modo di manifestare la sua indole di artista poliedrica e trasgressiva. Il suo corpo, reso alla scienza della tanatoprassi, è divenuto esso stesso simbolo e monito, pronto a essere esibito e a stupire durante l’oscena fiera della morte: il Tanatexpo. 
Intorno a questo nucleo narrativo fondamentale si sviluppano le storie dei coprotagonisti della vicenda: Sergio nella sua pervicace venerazione dell’artista Lucilla, Leo, il necrofilo represso, e infine lei, la taumaturga della tanatoprassi, Clotilde. 
Laura Liberale, nella sua interessante prova di esordio, snoda la narrazione tra cadaveri, macabre manifestazioni di tanatomorfosi, e le inquietanti attitudini dei protagonisti. La prosa è veloce, elegante, e ha un ritmo sostenuto. A volte il periodo si frammenta, come forse il pensiero dell’autrice, in frasi brevi, quasi dei singulti. L’anima di indologa della Liberale si svela attraverso alcune citazioni tratte da Il libro tibetano dei morti, disposte sul margine del foglio, come una cornice. Il racconto è preceduto e seguito da una dedica in cui l’autrice svela le ragioni che l’hanno portata a scrivere, come per trovare e stabilire intime connessioni tra date per lei significative. 
Molti argomenti e spunti, dunque, per un testo così breve. Il rischio era che non tutti i nodi venissero sciolti e che la narrazione rimanesse tronca e sospesa. L’autrice riesce invece a portare il racconto alla sua inevitabile, sorprendente deflagrazione conclusiva. Come una fenice che risorge dalle ceneri, alla fine resterà solo lei, Lucilla, ormai immarcescibile icona della postmodernità e della morte. 
 
Luca Filippi
 
 
Le immagini sono (C) Carlo Peroni 2001 
È vietato l’uso commerciale e la rimozione delle informazioni di Copyright 
 
 
 
 
Torna alla homepage de «L(’)abile traccia»      Torna alla homepage delle recensioni