Maria Stella Filippini
Cara Marta 
 
 
Cara Marta, 
 
hai mai pensato, creduto o solo sospettato 
che insieme stavamo percorrendo fughe di stelle 
in una gaia apocalisse verso il cielo? 
Hai mai pensato a me come all’aprirsi del sole 
a me come aria o vento o luce 
che artigli rompe all’ombra e la nebbia scava? 
 
Hai mai cercato di donare sorrisi rubando ansie 
al giardino dei cedri dietro mura severe che la notte 
col nero stendardo avvolge? 
 
Io questo, da che ti ho incontrato, ho creduto, pensato 
e cercato, sempre. 
Perché oggi non sei qui a passeggiare sotto i pini con me? 
Vorrei abbracciarti e dirti com’è bello questo giorno 
e come ride il mare. 
Il mandorlo che ammiravi si è ridestato e tra le foglie 
regala l’allodola il suo canto. 
Perché non sei qui a raccogliere le mie gioie 
a svelare la felicità guardando le acacie che danzano 
a sentire il rumore delle foglie secche che calpesto 
nell’andare? 
 
Un fringuello esce dalle fronde e vola, alto. 
 
Scrivimi, dimmi quel che pensi e quel che vedi. 
Quale mistero c’è dove ti trovi, ci sono gelsomini 
in quel giardino? 
Qui è tutto un tripudio della loro fragranza. 
Oh, i gelsomini! 
Quando camminavi ancheggiando, arrossivano 
e profumavano di più intanto che la brezza alitando 
— così come alle camelie titillava lo stame — accarezzava 
e sollevava i petali bianchi della tua larga gonna. 
 
Che voglia di vivere mi prende e di gioire con te 
al di fuori della fantasia che mi possiede! 
 
Stanotte tra il vento e il turbinio delle foglie 
un passo lieve ho sentito — mi è parso di sentire — 
Marta, sei tu? Aveva la mia voce il suono dell’illusione. 
Tu non sei qui e io dal giorno del distacco 
con lacrime di sale innaffio ortiche. 
 
Appena desto ho aperto la persiana e dalla gronda 
levitando è piovuta una rosa. 
 
Buca il grigiore del mio nuovo giorno, algida e nuda, 
la memoria e ritorna dentro il serrato guscio 
il ricordo della mia alba a primavera. 
Sono adesso dolorante come fascio di grano 
come giogo di mare mai stanco che muta toni e colori 
e al cambio di ogni cala si piega. 
 
Si leva una torre a indagare nel vento vespertino 
acché l’aurora non si muti in notte all’improvviso. 
 
Schiarisce il passato nell’ora di grazia 
ove cerco il senso reale di tutte le mie fiabe. 
 
 
Per dare un supporto alla lirica da me scritta, mi preme dire che l’amore di Luigi Pirandello per l’attrice Marta Abba mi ha coinvolto tanto da commuovermi. 
Quell’amore senile, profondo, condizionato dalle regole sociali del tempo e dalla rigida morale, gli fece vivere la trasgressione in modo doloroso. 
Pirandello, legato ai valori della famiglia e ai doveri verso la moglie malata, ben sapeva di non potere organizzare il suo esistere al di fuori di certi canoni. 
Marta Abba, a ragione della sua professione d’attrice, era sempre in giro per il mondo e Luigi, che amava trascorrere i suoi giorni al Caos, lontano dai fragori della vita per dedicarsi totalmente alla scrittura che gli permetteva di navigare con la fantasia in mondi più leggeri, ebbe con Marta un rapporto epistolare molto intenso. 
Da questa considerazione è maturata in me l’idea di comporre una lirica indirizzata a Marta, 
entrando nell’anima dello scrittore. 
 
Maria Stella Filippini
 
Nota biografica
Maria Stella Filippini è nata a Tripoli (Libia) nel 1936, da padre lombardo e madre siciliana. Ha cinque figli e dieci nipoti. 
Si diletta a scrivere racconti di vita. Ma la sua passione è la poesia: fra le sue raccolte di versi spiccano Trilogia dell’Angelo, Bonfirraro Editore, Barrafranca, 2001 e Con ali di cigni le falene, Bonfirraro Editore, Barrafranca, 2001.
 
 
Le immagini sono (C) Carlo Peroni 2001 
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