Autrice del Gruppo Mediaset (e più precisamente della trasmissione Forum, in onda ogni giorno su Rete 4), la dottoressa Valentina Stangherlin curerà per «L(’)abile traccia» una rubrica “bifronte” che, oltre a commentarci le pellicole migliori (ossia qualitativamente più robuste e resistenti) fra quelle in programmazione nelle sale italiane, non dimenticherà — si capisce — fra recensioni, interviste e interventi mirati, di riflettere in libertà sulla settima arte. Ma esplorerà saltuariamente (cambiando per magia il proprio titolo in “La (s)tele di Rosetta”) anche il “rutilante” mondo della televisione, del quale (sempre attraverso articoli ad hoc ed interviste a personaggi famosi) ci fornirà — come una moderna stele di Rosetta1 (o di Valentina?) — l’infallibile chiave interpretativa.
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1 “Stele di Rosetta: lastra di pietra rinvenuta nel 1799 presso la città di Rosetta in Egitto e recante un’epigrafe ripetuta in egiziano geroglifico, egiziano demotico e greco, tre differenti scritture raffrontando le quali gli studiosi (ed in particolare il francese Jean-François Champollion) riuscirono finalmente a decifrare e interpretare i geroglifici egizi”.
(Universo. La grande enciclopedia per tutti, Istituto geografico De Agostini, Novara)
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La fortuna conta più del talento.
E questo forse lo sapevamo già.
Chi di noi almeno una volta nella vita non si è visto superato da qualcuno meno dotato ma sicuramente più fortunato di noi?
Semplicemente, capita. È la vita quotidiana, la vita di tutti.
Niente di nuovo.
Ma se a parlarci di questo tema non originale è un genio come Woody Allen tutto assume dei contorni diversi. Diventa arte. E ci sorprende. Ci fa pensare.
A metà gennaio è uscito un suo ennesimo, riuscitissimo film: Match Point.
Almeno dieci volte, guardando i film di Woody Allen, ho pensato che di meglio non potesse più fare, l’ho pensato dopo Io e Annie, dopo Manhattan, dopo La rosa purpurea del Cairo, dopo Harry a pezzi e poi ancora e puntualmente, al film successivo, mi son dovuta ricredere. È successo anche stavolta.
Il film, sfruttando un’azzeccata metafora sportiva — il tennis —, racconta dell’ingestibilità del destino umano, della fortuna nel senso etimologico e latino del termine, ovvero la sorte. Perché nel corso della nostra vita esiste una quantità infinita di variabili, ad occhio nudo delle inezie, che fanno la differenza. Come quando, durante una partita di tennis, la palla colpisce la rete e tutto si ferma in quell’istante infinito in cui — il destino — deciderà se cadere al di qua o al di là della rete. Da lì dipende la partita, quello è il match point.
Ci parla di morale, o meglio dell’assenza totale di morale che genera mostruosità e violenza senza pari. Genera orrore, ma un orrore che magari la spunta, perché non sempre il bene trionfa, non sempre i buoni vincono.
Ci delizia con personaggi costruiti ad arte, che possono essere parzialmente negativi o negativi fino in fondo, ma che riescono comunque a farci stare dalla loro parte. Perché in qualche modo ci assomigliano, perché anche noi saremmo così se non ci avessero insegnato a deviare gli impulsi, perché si ucciderebbe per molto meno se non fosse chiara quella linea che divide il comportamento etico da quello assolutamente sregolato.
Questo ci spaventa, ma è reale. Anzi, spaventa perché è reale.
Un film colto, con una colonna sonora ricercata, presa dall’opera lirica italiana, citazioni hitchcockiane. Un film europeo, il primo, per un regista newyorkese fino all’osso. Egli stesso ha più volte dichiarato di non poter sopravvivere per più di cinque giorni lontano da Manhattan. Invece l’ha fatto, ha girato a Londra, ha raggiunto i suoi miti in patria per regalarci questo lavoro.
Lui che è cresciuto nutrendosi di Fellini, Bergman ed Hitchcock, che ha assorbito, rielaborato e prodotto poi uno stile suo, inconfondibile, elegante e squisitamente intelligente.
Ne vorremmo di cineasti come Woody Allen e soprattutto vorremmo che lui non si fermasse mai, che non invecchiasse troppo, che non smettesse di farci ridere e riflettere allo stesso tempo, perché ormai noi, con lui, ci siamo viziati.
Valentina Stangherlin
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Le immagini sono (C) Carlo Peroni 2001
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