Che cosa ci si può aspettare da tutto ciò che non ha reazioni, ecchimosi tumefatte su tutto il corpo? Rapidi giudizi che mi condizionano la vita; ed è già un’altra volta domenica, aspetto il sorgere del sole e penso a com’era bello prima che arrivasse questo nero tramonto... “finirà il temporale e tornerà l’azzurro, finiranno queste tenebre e tornerà la luce... ” e intanto però non cambia niente, cammino nel parallelepipedo della mia sofferenza, e allora comincio a decidermi che sono felice, che sono daltonica: che il nero delle tenebre è in realtà l’azzurro del cielo e grazie alle mie illusioni ritorno alla vita... aspettando le certezze...
In un cimitero una donna sdraiata, non c’è più la sua mente, solo il corpo è restato, lei nuotava in un mondo di vortici azzurri, sembra che i muli fischino anche se non esistono, tutto quello che vuole essere è, sensazione soggettiva, ogni occhio un modo diverso di vedere, grazie cimitero, parcheggio gratuito del mio ingombrante fardello corpo, mucchio selvaggio, niente attori, solo ossa... non mi danno la multa... Spike Lee fotografa la musica dal cielo, è una foto soggettiva, ogni scatto uno sviluppo diverso per lo stesso soggetto, mille modi di vedere la vita eterna un solo modo di viverla: amandola.
... poi mi dirai che non c’è più niente da fare, che tanto è lo stesso, che il sacco è pieno bisogna svuotarlo e io sto morendo dentro pastiglie senza più forma, dentro sostanze senza più essenza, dentro dolori senza coscienze, dentro pareti senza colori; mi hanno rubato le mie emozioni e le hanno trasformate in paure, in solchi di rabbia, in strade di sangue, non ho più la voglia di reclamare la vita intera che ogni giorno mi correva davanti e che io inseguivo come una lepre piena di gioia. Aspetto ogni giorno che cambi il tramonto e si trasformi soltanto in mille albe di strani colori, un milione di odori, di sali bagnati, di voglie di sesso, di sete di tutto, e cerco i miei libri e trovo ricette e controindicazioni, e non ho più la forza per dire che vivo ma solo sto male a pensare di fare quello che faccio e che non posso cambiare. Strade senza lampioni e io che sbatto in tutti i guard-rail e nessuno mi regala un’indicazione che porti alla fine e all’inizio, all’inizio e alla fine. Ti aprono il cuore lo affittano a ore, mille ipermercati girati in un giorno per comperare un po’ di voglia di ridere, ma loro hanno tutto ma questo non c’è, lo avranno finito, sarà esaurito, cambio negozio e arrivo alla sera con la mia sacca vuota di riso e piena di pianto per ciò che non trovo più, che nessuno mi vende, nessuno mi dà, e cadono gli occhi sulla mia pastiglia e non c’è più meraviglia e nemmeno stupore ma solo dolore, me ne vado nel mondo cercando emozioni che sono finite tutte nelle controindicazioni lasciandomi il segnale piatto e nulla di più, è inutile continuare a camminare quando la strada non presenta curve, salite o discese ma una linea bianca orizzontale sempre uguale, sempre uguale, sempre uguale…
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Aristea Canini, trentadue anni, è una giornalista professionista laureata in scienze politiche. Scrive per diversi quotidiani ed è redattrice di «Araberara» (il quindicinale più venduto delle valli bergamasche); tiene inoltre una rubrica sulla rivista dell’Inter.
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Le immagini sono (C) Carlo Peroni 2001
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