Una recensione
a cura di Renata Ballerio
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Devo incominciare con una confessione. Al termine della prima lettura, sono uscita infastidita dal librettino, opera d’esordio del trentacinquenne Marco Zavarini: sintagmi che sentivo lontani, appartenenti ad una poesia “costruita”. Infastidita ma anche attratta dalla necessità di scoprire la provocazione del titolo: L’analisi di infinite conseguenze. Perché ingabbiare nell’analisi quello che viene offerto come non finito (“[...] infinite [...]”)? Perché rammentarci che dobbiamo accettare che nella nostra esistenza non c’è una relazione causale, ma appunto “[...] infinite conseguenze”? Forse è necessario qui ricordare che l’autore si è laureato in ingegneria informatica ed è stato songwriter, nonché cantante in gruppi rock.
Con pazienza ho letto, riletto e mi sono appropriata delle poesie-lampo di Zavarini, accettando la sfida di osservare “senza emozione/ la dissoluzione del paravento/ il fallimento/ della retorica/ le lacrime/ nella stanza”. Mi sono raggomitolata dentro le schegge di un pensiero poetante, ossimoricamente impastato di apparenti contraddizioni: lacrime ma senza emozioni, concretezza di oggetti (“[...] paravento”), senza certezze formali (“[...] retorica”).
Ho, comunque, sentito la costruzione linguistica — a volte un po’ troppo labor mentale, a volte ingenuo parto retorico con esasperate iperboli metaforiche (“Diga [...] Sul pianto/ non arginabile”) — come una cogente volontà di non smarrirsi nelle infinite conseguenze, di “guarire che è dare un volto e un nome ad un’ombra”.
Di questo abbiamo bisogno visto che — come afferma Marco Zavarini — “ci muoviamo in un fluido/ confondendolo col vuoto” oppure “processiamo segmenti/ disponendo scatole cartesiane/ in attesa traiettoria/ schiva di presunti imprevisti”.
Si esce, dunque, dalla lettura dei versi e dei silenzi di questo libello misteriosamente attratti — nonostante tutto — da un pensiero e, come si legge sul risvolto di copertina, dalla “[...] leggerezza pungente degli aforismi [...]” — ora frammenti di vita ora immagini strappate dalla realtà, che con inquietudine ci lascia in una zona d’ombra. E insieme con l’io lirico possiamo con semplicità affermare: “Ho così a lungo tentato/ di accendere questo cerino/ che alla fine/ ne ho odiato la fiamma”.
Renata Ballerio
Preside del Liceo classico e magistrale di Rho (Milano)
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Le immagini sono (C) Carlo Peroni 2001
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