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Il sentiero 
“degli autori nuovi ed emergenti”
In questa sottosezione della rubrica “Il Novecento e oltre”, si parlerà (pubblicandone direttamente le opere, oppure attraverso una serie di interviste, recensioni o monografie) di coloro che si stanno ultimamente imponendo sia alla critica sia al pubblico e che, dunque, son decisi a rivendicare per sé un poco di luce autentica, per non doversi riscaldare in eterno ad un sole misconosciuto.
 
Borderline. Omaggio a Dostoevskij 
-Un racconto di Margot Croce-
Nacqui spalmato sul fango. Partorito in un anfratto d’anima e gettato via come un inutile fardello. Il mio astio ribelle cresceva con me e diventava sangue, ma pestavo lacrime decomponendo i giorni in miserabili trenodie. La rabbia mi spezzava le ossa ed entrava furente nelle narici. 
Ogni sole che nasceva, ogni alba che si accendeva, era un singhiozzo nel fianco. 
Ordalie alcoliche mi orbitavano in dimensioni artificiali, costruite su templi in rovina. 
Visioni che i sensi anelavano come sogni impossibili. Quel fuoco liquido che ingoiavo era la mia sola speranza: lo accendevo col fiammifero della mia collera e mi facevo bruciare sentendomi vivo e invincibile. 
Con lacci emostatici di inettitudine frenavo le emorragie delle mie emozioni. 
Ecchimosi interne non visibili a sguardi stranieri. 
 
Poi, un giorno, ho smesso di piangere. Ho visto la bara del mio cuore levitare nell’aria e dissolversi. Ho seguito il mio stesso feretro e sono diventato pietra. 
 
Ora, ubriaco di silenzio e vodka scadente, trascino la mia impotenza come un trofeo conquistato. L’etere mi fiata sul collo, alita come una donna in amore. Vivo nella discarica della mia anima, abbracciato ad una morte in paziente attesa. Una scheggia di specchio mi rimanda il rottame che sono. Allegri topi voraci si saziano del mio essere e io li lascio fare, sono i miei fedeli compagni. 
La superficie mi atterrisce. Il mio regno è questo sotterraneo, ricettacolo di liquami, dimora di folli, 
questa perversione distorta in cui si incastra la mia solitudine, che avviluppa le mie bestemmie come carezze di un dio caduto in disgrazia. 
 
Ed ecco arrivi tu, magnifica puttana, con occhi di madre e fica incestuosa e pretendi di scarnificarmi dagli strati più sudici della mia pelle per farmi rinascere. 
Dai tuoi seni potrei bere soave latte di rosa, ma il mio fegato lo farebbe marcire. Scorre vacuo veleno nelle vene. L’antidoto folle della tua tenerezza non ha il potere di una catarsi mentale, 
di una ipostasi santificata. 
Scappa! Va’ via! Lasciami alle mie macerie, ai miei conati di vomito dove sguazzano scarafaggi affamati, alla marea putrescente della mia bile contaminata. 
Lasciami raggiungere l’inferno dei miei demoni, sanguisughe irrorate dall’amnios della mia nascita. 
No, non guardarmi più! Non guardarmi! Non voglio vedermi come tu mi vedi. Non voglio scorgere trame di pietà in quell’azzurro profondo, piuttosto lame di acciaio pronte ad uccidermi. Né, tanto meno, voglio il tuo amore, epopea virginale di buoni sentimenti. 
 
Eppure io sento di amarti. Di un amore grigio come neve fangosa, di un amore gelido che lascia paesaggio di tundra. Nonostante ti scacci vedo in te la rivolta del mio passato e il trionfo del mio futuro. 
 
Quieta donna, su cui questa mia solitudine s’infrange, su cui abiura la mia rabbia fatale, il mio tetro destino trasmuta nell’oceano del tuo sguardo! Le mie parole ti lapidano mentre la mia anima langue di desiderio. 
 
Oh! Potessi abbandonarmi alla radura felice dei tuoi fianchi, al vento leggero delle tue mani, alla fiamma vivida delle tue labbra! 
 
Ma che dico… Non sono parole che il mio petto possa sorreggere! Fermami! Ferma il tuo respiro sulla croce del mio martirio. 
Non ho più vite da donarti. Posseggo solo rinunce e miserie, abiezioni e paure. Allontana la tua luce 
dal mio sottosuolo inquieto e lasciami al mio esecrabile pasto. Ho voragini da riempire in cui versare palate di fango. Non basta il sudore dei morti per la mia resurrezione. 
 
Margot Croce
 
Come inviare propri testi e contributi
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Le immagini sono (C) Carlo Peroni 2001 
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