Il sentiero
“del comico e dell’umorismo”
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“Vivere nel mondo come non fosse il mondo, rispettare la legge e stare tuttavia al di sopra della legge, possedere come se non si possedesse, rinunciare come se non fosse rinuncia: tutte queste esigenze d’un’alta saggezza di vita si possono realizzare unicamente con l’umorismo”.
(Hermann Hesse, Il lupo della steppa)
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“Un senso del comico abbastanza vivo da permetterci di vedere le nostre assurdità non meno che quelle degli altri può impedirci di commettere tutti i peccati, o quasi tutti [...]”.
(Samuel Butler, Taccuini)
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“Dove non c’è umorismo non c’è umanità; dove non c’è umorismo (questa libertà che ci si prende, questo distacco di fronte a se stessi) c’è il campo di concentramento”.
(Eugène Ionesco, Note e contronote)
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Caro diario
-Un racconto di Lucia Visconti-
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Caro diario,
stamani sono andata dalla nonna, come ogni volta che mamma lavora ed io sono in vacanza.
Verso le 10: Drinnnnnnnn… Drinnnnnnnn.
- Era la Margherita — penserai — Cosa c’è di tanto strano? Non fa così da una vita? Voleva l’acqua e che le accendeste la televisione?
Eh no, caro amico, per queste cosucce non perderei tempo a scrivere.
Ascolta.
La nonna è andata ad aprire con tutta calma e si è sentita farfugliare a mitraglia: «Mi apri la porta? Mi apri la porta?».
«Ora, Rita».
Ha preso la chiave della vicina che come sai è del tutto “fuori testa” per cui spesso resta fuori casa, ma quando si è avvicinata alla toppa, ho sentito la sua voce sgomenta.
«O Rita, che hai combinato? Ti si è spezzata la chiave nel buco? Non ti posso aiutare. Dov’è Lino?».
«Aprimi la porta, aprimi la porta», insisteva zampettando la disgraziata, senza ascoltare ragioni.
«Non posso, non posso!», ha risposto avvilita la nonna.
«Tieni la chiave che ho nella maglietta. Aprimi la porta!».
«La chiave non entra. Ascolta: nella toppa c’è un pezzetto dell’altra rotta… ».
Poi ha continuato da sola: «Oh Signore, come si fa? Lino tornerà alle 12. Che faccio con questa?…
Vieni qui, Ritina, tra poco viene il tu’ marito e ci pensa lui! Bevi un po’ d’acqua, bellina, mangia un pezzetto di schiacciata».
«No, no, aprimi la porta. La chiave ce l’ho dentro il borsello».
«Sì, la vedo, ma non entra: sei rimasta fuori. Stai qui con me. Non è successo niente di grave, capita a tutti!».
A quel punto, spinta dalla curiosità, ho lasciato il giornalino delle witch e mi sono affacciata in cucina. Margherita stava trangugiando un bicchiere d’acqua, ma subito ha ripreso la tiritera; si è alzata la maglietta e: «Eccola qui la chiave. Aprimi, aprimi!», supplicava agitatissima.
«Dammi il numero del cellulare di Lino... te lo ricordi?», ha chiesto la nonna.
«Aprimi la porta».
«Qual è il numero di telefono della tu’ suocera?».
«219000… 219000».
«Che sei sicura? Proviamo… Oh, signora Lea! Sono l’Amelia, la dirimpettaia di Margherita. L’è rimasta fori casa: s’è rotta la chiave nella toppa!».
«Icché?… Chi l’è?… ».
«Son l’Amelia, la dirimpettaia di Margherita, la su’ nora». («O che è sorda?», ha ammiccato verso di me).
«Ah sì, signora Amelia, che è successo?».
«La Rita è fori casa. Che ce l’ha il cellulare del su’ figliolo?».
«Il cellulare di’ mi’ figliolo?… Ce l’avevo da qualche parte… o dov’è, o dov’è…
Non lo trovo! Sa, c’ho il tennico della cardaia… quello che viene tutti gli anni. Non posso venire ora!».
«Non importa che venga, signora Lea: mi basta il cellulare… ».
«Non mi riesce a trovallo. L’abbia tanta pazienza… C’ho il tennico... ».
«Sì, sì, ho capito. Buongiorno!».
«Aprimi la porta, aprimi la porta. La chiave è nel borsello».
«No, no... ».
«Piglia le tue e prova… Aprimi la porta».
«Sta’ bona, per carità, Ritina… O come fo? Chi chiamo? Che ci sarà il caposcala?».
Così dicendo la nonna è salita, ansimando, per una rampa di scale… ed eccola ritornare sconfitta.
«Non c’è nessuno... Aspetta, aspetta» — borbottava tra sé ed ha composto un numero telefonico — «Giovanni, che ci sei almeno te?».
«Sì, perché che t’è successo Amelia? Ti si è rialzata la pressione?».
«No, anzi non lo so. Son qui da un’ora con la povera Ritina che è rimasta fuori dell’uscio, perché ha rotto la chiave nella serratura. Che posso fa’? Dammi un consiglio te, che sei un artigiano!».
«Ascolta: piglia due spillini e cerca di tirar fori il pezzetto rimasto dentro. Oppure: ce l’hai l’aspirapolvere?».
«No, io spazzo con la scopa!».
«Allora, via, prova con gli spilli. Che Dio te la mandi bona!».
«Grazie, Giannino».
Attaccato il ricevitore, ha ripreso il soliloquio: «Gli spilli… Ma che faranno qualcosa gli spilli?».
E via nel pianerottolo per il nuovo tentativo.
Ha inforcato gli occhiali e ha cominciato ad “armeggiare” (come dice lei).
«Oh Dio, s’è spezzato anche lo spillo, ma viene via, su. Insomma io non riesco a cavare un ragno dal buco!».
«La chiave dal buco, nonna!», ho riso a crepapelle.
«Zitta, Silvina, non ti ci mettere anche te!».
«Aprimi la porta, aprimi la porta».
«Vediamo se arriva Lino. Sta’ calma. Bevi un bicchiere d’acqua frizzantina. Non me la chiedi tutti i giorni?...
Signor Gagliardi, meno male che è rientrato», l’ho sentita urlare all’improvviso.
«Che c’è? Chi è?».
«Sono io, l’Amelia Bianchi. La venga, per favore: l’ho da parlare».
«Vengo, vengo, sistemo il motore».
Eccolo col fiato mozzo dai suoi quarant’anni per gamba.
«Che si può fare qualcosa per questa figliola? È fuori casa… ».
E dài, a raccontare la storiella dello stento.
«Provo a prendere due ferretti e torno».
In quella, ha squillato il telefono: «Amelia, a che punto sei?».
«Giovanni, sei te? È arrivato il caposcala, ma sai com’è ridotto il Gagliardi… Intanto il marito non torna».
«Aspetta, via, provo a venire io».
«Bravo, Giannino, grazie. Vieni, perché me la vedo nera!».
Il Gagliardi intanto stava “sferruzzando” per togliere il corpo estraneo, ma quando sembrava che stesse per farcela… il pezzetto scivolava.
Dopo circa un quarto d’ora di manovre, accompagnate dal tifo della nonna, si è aperto, cigolando come sempre, l’ascensore: era Lino!
«Dio sia lodato, è arrivato. La Margherita… ». (Bla… bla… bla: altro racconto dei particolari).
«Icché ha fatto? Ma io non posso nemmeno andà a fare la spesa? Che hai combinato Rita! Tu stai peggiorando, bellina».
«No, no, Lino, eccola qui la chiave!».
«Questa, hai preso? Ma l’è della cassetta della posta! L’hai girata eh, e ti sì è rotta dentro! Ma che combini, che combini!».
«La chiave ce l’ho… ».
«Sta’ zitta, Margherita. Vado a cercare qualche attrezzo in cantina, sennò bisogna chiamare i pompieri come l’altra volta: dovettero rompere i vetri, un macello! Le finestre sono chiuse anche oggi; non si può entrare da nessuna parte».
Dalla porta spalancata mi godevo la sceneggiata.
Dopo due minuti è tornato con dei fil di ferro fini e ritorti.
«Vediamo se l’acchiappo con questi».
Macché!
«Aspetti, Lino» — è intervenuto il Gagliardi — «Lei la provi ad afferrare di sopra, io cerco d’acchiapparla di sotto!».
E via d’impegno. Tutti e due torcevano la bocca, accompagnando il verso dei rispettivi attrezzi.
Nel bel mezzo, ecco lo zio Giovanni: in una mano teneva la cassetta degli attrezzi e nell’altra un grosso aspirapolvere.
«Meno male che sei qui» — ha sospirato con sollievo la nonna — «Vieni a da’ una mano a questi poveracci».
«Avete provato con gli spilli?».
«Sì; anche con le pinzette e i ferretti ritorti, ma non c’è nulla da fare… ».
«È venuto un po’ avanti il pezzetto?».
«Appena appena».
«Allora, vediamo un po’. Amelia, attacca l’aspirapolvere».
E immediatamente ha infilato la bocca dell’elettrodomestico sulla toppa.
Da quanta baldoria faceva, ho pensato che risucchiasse anche la porta, ma quando i presenti hanno guardato l’esito, non era cambiato niente.
«Sentite un po’» — ha chiesto con calma lo zio — «ma la chiave era stata girata nella toppa?».
«No, la Rita non fa mai le mandate».
«Questa è una bella cosa... Amelia, ce l’hai a portata di mano una radiografia del tu’ ginocchio?».
«La radiografia? Ce n’ho quante ne vuoi di radiografie».
«Prendine una e dammela».
La nonna si è subito recata in camera sua. La sentivo scartabellare e borbottare come il suo solito: «È possibile che non ne trovi nemmeno una? Questa è dei polmoni, quest’altra della “spina”… o allora dove ti sei cacciata? T’ho fatto l’altro giorno! Eccoti qua… ma che ci farà Giannino?!».
«Oh bene, credevo tu fossi andata a fartela fare all’Usle!».
Ha infilato il foglio tra le due ante della porta, l’ha fatto passare su e giù più volte, mentre spingeva, spingeva…
Tutti osservavamo allibiti e… Tum! L’uscio si è aperto davanti ai nostri occhi, molto più spalancati di lui!
«Grazie, Giovanni!» — ha gridato Lino fuori di sé dallo stupore — «Che posso fare per ricambiare la gentilezza?!».
«Come si dice: “Tutto è bene quel che finisce bene”», ha commentato ancora interdetto il Gagliardi.
«Lo sapevo, Giannino, che dovevo chiamare te», ha asserito commossa la nonna.
«Niente, niente. Sono cose che succedono», ha risposto serafico lo zio. E se ne è andato tranquillamente.
Erano le 12:30.
La Rita è entrata in casa come se nulla fosse successo, poi è tornata sul pianerottolo: «Lino, io vo a comprammi i’ gelato».
«A quest’ora?! Vieni a mangià la carne, vieni, sennò oggi finisce male!».
E la porta si è chiusa, come un sipario, su una storia di povera gente, in cui talvolta la tragedia può divenire commedia.
Lucia Visconti
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