Una recensione
a cura di Anna Antolisei
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Il solo tentativo di catalogare, di etichettare il poeta vivente relegandolo in un genere, in una corrente o in una specifica tendenza letteraria di costume o di luogo, mi pare un abominio. Un obbrobrio paragonabile solo al rinchiudere in gabbia una rondine, il cui senso stesso del suo esistere sta nella prodigiosa capacità di migrare, far ritorno, nidificare quando e dove detta liberamente il suo istinto. Storcano pure il naso coloro che sono avvezzi a sindacare (“sindacalisti” della scrittura?) l’uso del lirismo in prosa quando, e se, la pur aulica metafora serve a rendere un concetto con immediata e — perché no? — più coinvolgente efficacia.
Premessa, questa, spero utile a spiegare il motivo per cui Vele, la silloge poetica di Ada Crippa edita da LietoColle nella collana “Erato”, non merita di essere qui schedata sotto alcuna dicitura, bensì semplicemente introdotta in qualità di opera completa, esaustiva, matura come letterariamente lo è, senz’ombra di dubbio, la sua autrice. Soprattutto se maturità significa non indulgere a superflui e tediosi virtuosismi stilistici; non cadere nella pretesa di una sperimentazione che, il più delle volte, si compiace di se stessa ed in sé si esaurisce; non stravolgere il linguaggio alla ricerca di un lessico ben più improprio e forzato che “alternativo”.
Nei versi di Ada Crippa, invece, le parole cadono precise, puntuali e inappuntabili: sono i segni nitidi che, concatenandosi con grazia mai leziosa, formano la linea del racconto. Dei racconti, anzi: ventitré liriche che nascono più sul mare che dal mare, componimenti che galleggiano come gusci di legno mossi da un vento spesso indulgente, a volte più severo, le vele a spingerlo sino alla riva del reale; non per questo del prosaico.
Sorprendente, fascinosa è la dicotomia che in alcune poesie salta all’occhio tra l’immensità del punto di osservazione e l’esiguità dell’osservato. Ce lo mostrano bene, questo contrasto intrigante e tutt’altro che abusato, Quel rigo e Poco più, componimenti in apertura della silloge, e Sa il poeta, la lirica che chiude il compendio. Pare che l’autrice, qui, accosti una lente all’occhio per cogliere la sfumatura minima e per catturare, dell’esistenza, anche la nuance più tenue. La percezione di un pensiero che nasce, un battere di ciglia che si fa volo di farfalla, la perenne danza delle cose silenti che soltanto il poeta sa portare in scena... Sono questi i dettagli che fanno dell’osservazione un’arte e della vita, dunque, un capolavoro di policromie che a pochi è dato di voler e saper scorgere.
Mentre il percorso della silloge segue il suo moto ondulatorio tra riva e orizzonte, tra la fantasia di un bacio quasi estorto, la materialità di una tazza di tè, l’incanto di un sortilegio saffico, ecco che Principio di metamorfosi e Dolore salgono in superficie con forza accentuata; gavitelli che invitano alla sosta sino a che le folate di amarezza, rammarico, rabbia strozzata nel mutismo della sofferenza non passino oltre, non si attenuino per acquietarsi poi nell’asserzione di maggior effetto dell’intera raccolta: “Itaca non è perduta/ seppur tace il suo eroe”. Odissea è ogni vita in sé — pare ci rammenti Ada Crippa. E il sovrano di ogni vita può dimenticare o perire, perdersi o guadagnare l’approdo, ma Itaca — l’isola che c’è — nei millenni resta, e attende.
Anna Antolisei
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Le immagini sono (C) Carlo Peroni 2001
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