Una recensione
a cura di Lucia Visconti
|
Il titolo dell’opera richiama un’inedita posta di rosario, e rimanda ad una suora come autrice. Talmente i laici poco scrivono su temi religiosi in modo così palese.
Si evince un contenuto di poesia “mistica” legata alla stessa radice di “mistero”, cioè argomento che esula dal semplice pensiero logico dell’uomo.
Coinvolgente il profumo della speranza (ciò che ogni uomo desidera nel bagaglio della vita per non lasciarsi sopraffare dai marosi, prima o poi, presenti in forma personale o mondiale) sposata alla foto dell’Abbraccio, opera lignea in ginepro della stessa artista.
C’è dunque già in copertina un appassionante assunto che lega il trascendente all’umano e da sé apre le pagine.
Così ci si trova a bere i “mysteria spei” della Chermaddi, cinque tempi dalla dinamica interiore differenziata.
Il primo mistero, “La speranza dell’illuminazione”, è introdotto da un versetto del Vangelo di Giovanni (Gv 9,7) sulla guarigione del cieco nato: “[...] Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva”.
L’incontro tra Gesù e il cieco è apparentemente banale, non lascia prevedere un’opera messianica del Cristo. I discepoli chiedono al Maestro perché costui sia cieco dalla nascita (“«[...] chi ha peccato, lui o i suoi genitori [...]?»”), seguendo così credenze legate alla tradizione umana (malattia=effetto di peccato).
Sorprendente la risposta: “«Né lui, né i suoi genitori. È così perché si manifesti la gloria di Dio»”. E prende della sua saliva1, la mescola alla terra e impastato del fango lo getta sugli occhi spenti del mendicante. Poi gli ordina di andarsi a lavare alla piscina di Sìloe, che significa “Inviato”.
Il poveraccio, colto alla sprovvista, non ha neanche modo di ribellarsi: va a lavarsi, eccome, e ritorna VEDENTE.
Angela Chermaddi sembra indicarci dunque che non esiste speranza fondata d’illuminazione, se non si è esperita cecità carnale: ossia il mistero non è qualcosa di imperscrutabile, ma opera alla cui comprensione si viene iniziati, opera di Colui che per eccellenza è il Mistero: Dio Padre, Parola vivente nel Figlio, Fonte di vita nello Spirito Santo. La testimonianza di ciò ci invia, ci fa apostoli.
Ma non tutto è così semplice: il dolore è sempre in agguato. Lo scoramento bussa costante, assilla, brucia. Da questo il bisogno di chiedere speranza, virtù teologale, cioè dono di Dio, fuori dalla portata dell’uomo, che al massimo conosce il coraggio.
Seguono sedici liriche, non dieci come le Ave Maria canoniche: scelta sapiente per chiarire, se ce ne fosse bisogno, che il testo è poesia, testo letterario, non guida devozionale.
“La speranza della volontà” è introdotta da Mt 9,21: “[...] «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita»”. La forza del desiderio guarisce la debolezza.
L’emorroissa è malata da dodici anni: nessuna cura né medico ha saputo guarirla. Dall’esperienza di altri si convince: solo il Nazareno possiede la Signoria per dominare sul nemico che le toglie ogni forza, rendendola inabile a svolgere la sua missione di donna, moglie, madre.
Ad Angela Chermaddi, provata da dolore illimitato nel tempo e nello spazio, giunge questa Parola profetica: vi si butta e ci indica la via per riottenere dignità.
La salvezza non appare comunque mai una certezza di risoluzione definitiva: tutto è un gioco-mistero in cui continuamente buttarsi.
E si giunge a “La speranza dell’aiuto”, sempre accompagnata da un Vangelo: Mc 2,4 (“[…] scoperchiarono il tetto nel punto dov’egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono il lettuccio su cui giaceva il paralitico”).
La scelta dell’artista pone di fronte ad un dilemma: o esiste la speranza dell’aiuto o il tempo sulla Terra è pura, sadica assurdità (“ci sono tempi/ che la parola è lusso impensabile/ pietraie aspre che non sanno/ immaginare musiche/ […] e la terra cupa non sai/ perché non t’afferra// tempi che da tanto tempo/ sono il mio tempo”2).
Un unico versetto poi raccoglie dieci liriche successive, quasi un Memento: “scava il dolore un varco alla speranza” (parole scritte prima nella carne che sulla pagina).
Viene immediato l’accostamento alla Notte oscura di San Giovanni della Croce: “O notte che guidasti!/ O notte amabil più dei primi albori!/ O notte che legasti/ Amato con amata,/ amata nell’Amato trasformata!”.
Altra via misteriosa dell’umano procedere, senza la quale l’uomo resterebbe privo di possibilità di riscatto è “La speranza della liberazione”: “Ed ecco una donna cananea […] si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, Figlio di Davide. Mia figlia è crudelmente tormentata da un demonio»” (Mt 15,22).
Qui si chiede libertà contro le seduzioni perfide, distruttive, autopunitive del Demonio. La poeta ci porta per mano verso il Go’el, il Cristo, il Liberatore per eccellenza, pur reiterando il pensiero che di per sé anche la speranza può ammalarsi3. Non resta intatta, in definitiva, la speranza della liberazione, ma una volta conosciuta, cioè fatta carne della nostra carne, non se ne può negare la realtà né la possibilità del ritorno.
In questa quarta parte l’endecasillabo, capoverso a dieci liriche, è “singhiozza lume acceso la preghiera”.
Quando le armi umane sono completamente impari al combattimento, si affaccia la preghiera, unico mezzo docile, umile, “a singhiozzo” eppure capace di sconfiggere la morte ontica.
Infine, ultimo mistero da contemplare-meditare è “La speranza del servizio”: “Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli [...]” (Gv 12,3).
Da dove nasce il servizio?
Dalla gratitudine. Maggiore sarà il debito condonato, maggiore sgorgherà il servizio, la cura; “[…] ma ancora ti amo da farti risorgere/ sei il tipo che spalanchi all’improvviso/ un ventaglio d’ali sul Calvario”4.
L’endecasillabo-guida è “di canti e d’amen vive la mia torcia” e mi pare non abbia bisogno di commenti.
Estremamente colta e accorata la prefazione di Franco Loi, fino a soffermarsi a scrutare la fonetica di alcune vocali di un verso, con acuta maestria.
Ad impreziosire le pagine, alcune immagini di sculture lignee: sigillo di talento superlativo dell’artista.
Lucia Visconti
1 Angela Chermaddi, I misteri della speranza, LietoColle, Faloppio, 2007, p. 19.
2 Angela Chermaddi, op. cit. (vedi nota 1), p. 59.
3 Angela Chermaddi, op. cit. (vedi nota 1), p. 79.
4 Angela Chermaddi, op. cit. (vedi nota 1), p. 107.
|
Le immagini sono (C) Carlo Peroni 2001
È vietato l’uso commerciale e la rimozione delle informazioni di Copyright
|