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Una recensione 
a cura di Simonetta De Bartolo
 
 
 
 
 
 
Monica Osnato, 
L’Oasi e la neve
il Calamaio, Roma, 2010
 
 
La poesia della Osnato predilige l’essenzialità del discorso e il messaggio diretto, privo di qualsiasi velatura, e impone inequivocabilmente la centralità tematica dell’amore, inteso come straordinaria ed assoluta simbiosi di due individualità (“Mia e tua questa vita”), come esperienza unica capace di conferire senso al vuoto esistenziale, di attenuarne la tragicità, offrendo un varco verso una dimensione altra. 
E, sebbene questo sentimento si manifesti come aureo isolamento, in cui il tutto si raccoglie e si fonde, come esaltazione del vigore fisico, voluttuosità, sensualità, carnalità, godute in una estrema pienezza e libertà morale, il lettore ne percepisce subito la sublimazione e la funzione salvifica, che placano e rendono leggera l’anima. 
L’amore è, ancora, prepotenza demolitrice che fa sperimentare la follia e il tormento di una passione didonea, la vertigine di infernali precipizi, la paura dell’alta tempesta, ma soprattutto catulliani desideri di baci e di estasi contemplative, ansia di lente dolcezze, godimento estremo di inebrianti profumi e suoni tersi, fiduciosi e totali abbandoni a voli, su libere rotte, verso infiniti, innocenti orizzonti di sogni, rifugi in ovattate intimità, godute nella complicità e nella protezione delle fredde notti d’inverno, che coinvolgono intimamente il lettore. 
Ma la poesia della Osnato, che pure insiste sul particolare, si fa anche consapevolezza dell’universale destino di trasformazione e di morte e dell’inevitabile precipitare nel silenzio del Nulla, creando modernità di chiaroscuri espressivi e misurati momenti elegiaci. 
Il recupero memoriale di delicate sofferenze, rasserenate dal tempo, induce il dettato al vago, all’indistinto, all’indefinito, al lessico del silenzio, evitando l’urlo e la precisione descrittiva. 
E quando la solitudine e gli abbandoni producono fitte di “acuti germogli” e la dimenticanza da filo si fa muraglia e la luce del giorno ottenebra “il colore delle cose” e voli di uccelli nella fredda stagione gelano l’anima, la Osnato non si lascia andare a pose melodrammatiche, ma si ostina ancor di più ad ancorare nell’animo l’esperienza amorosa, ad affidarla alla rimembranza, pur nella consapevolezza del divenire del mondo e dell’io, non smette di fugare ancestrali paure, di proseguire un percorso palingenetico, di consegnare alla poesia un passato ormai immutabile, sicuro e dolce riparo, di alimentare la speranza di raggiungere una terra promessa, di approdare “alla baia in quiete”. 
 
Simonetta De Bartolo
 
 
Le immagini sono (C) Carlo Peroni 2001 
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