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Il sopravvissuto, Il coraggio del pettirosso e Il colore del cielo 
 
 
Una recensione 
a cura di Lorella De Bon
Alberto Barina, La forma imperfetta, (silloge inedita di poesie) 
 
 
Ho letto con avidità le dodici poesie che compongono questa raccolta di Alberto Barina e un’immagine in particolare, tra le tante a disposizione, ha colpito la mia fantasia di semplice lettrice e “critico per caso”: quella del gambero e dei suoi passi al contrario. 
 
In Manifesti elettorali questo animale simboleggia la cultura di un tempo, paragonabile magari ad una donna non bella, ma brava ad educare i figli, a sostenere il marito ed a lavorare, trascurando per questo se stessa. Una cultura popolare (una donna) oggi in progressiva ed inevitabile estinzione in “[...] questa nuova era della glaciazione [...]” che ne fa “voce decapitata,/ esiliata,/ olimpionica fiamma spenta [...]”, perché la modernità non ammette la fatica e la lentezza e nemmeno i corpi nati per lavorare, ma solo seni e glutei ben fatti, pronti a raccogliere voti e consensi. 
 
Proprio là dove anche i sentimenti sono in vendita, per non parlare della politica, la poesia di Alberto ha la stessa forma imperfetta delle nostre nonne dal bacino largo e dal seno prosperoso di latte (non di silicone). 
È genuina la parola di Alberto e si fa rincorrere senza fatica. Prende per mano il lettore e si fa “gambero” accompagnandolo a visitare un mondo passato fatto di ricordi, grandi dolori e piccole gioie. Un mondo trascorso che si ripete e diventa “il presente” del poeta e del suo lettore, perché il gambero cammina sì al contrario, ma sempre nella giusta direzione! Alberto, infatti, non è “fermo come un pendolo [...]”, bensì attinge la propria forza interiore dall’eredità di ciò che è stato e che il presente costantemente disprezza e “[...] vende al migliore offerente”. 
 
Il poeta si fa clandestino nel proprio Paese. Sono poesie dell’esilio quelle di Alberto. Un esilio imperfetto perché vissuto dentro la società che il poeta allontana. Ed è la poesia a compiere il dono dell’ubiquità, perché i versi sono terra “altra” e tempo presente, questa terra e le voci che riemergono dal passato. Come quella di una madre che non c’è più, ma che continua a dispensare consigli e carezze silenziose al figlio; come quelle di un’insegnante il cui sapere è stato messo a giusta e fertile dimora, i cui semi continuano a dare buoni frutti “imperfetti”. 
La perfezione appartiene solo a Dio e il poeta — il nostro poeta — è consapevole della pochezza del suo scrivere, del suo dire, eppure, va avanti indomito, piccolo scrivano attorniato dall’ipocrisia, ma difeso dai tanti valori trasmessigli, dai ricordi ed anche da un padre che è presenza muta, ma non indifferente. 
 
Alberto è accolto ed accoglie, come in un grande abbraccio, le imperfezioni — proprie ed altrui — che la società emargina con la condanna o peggio con l’indifferenza; imperfezioni fisiche o interiori, fa lo stesso: perché sono ricchezza tutte quante, se valorizzate, se guardate “dentro” con rispetto e curiosità. Alberto guarda ed immagina un manicomio di corpi “[...] derisi e martoriati” solo dalla poesia, che vive dentro ognuno di noi, nessuno escluso. I suoi versi sono piccoli gesti quotidiani, discreti ed umili. L’artificio, di cui si nutre la società odierna, non trova alcuno spazio in questa raccolta. 
L’unica colpa di Alberto, se di colpa davvero si può parlare, è quella di mostrarsi nudo al lettore. Ma nonostante la sua nudità, sempre qualcosa di lui ci sfugge. 
 
Lorella De Bon
 
 
Le immagini sono (C) Carlo Peroni 2001 
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