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Il sopravvissuto, Il coraggio del pettirosso e Il colore del cielo 
 
 
Una recensione 
a cura di Lorella De Bon
 
 
 
 
 
 
 
Enrico Unterholzner, 
Lo stagno delle gambusie, Meridiano zero, 
Padova, 2009
 
 
“Aveva pensato più di una volta che viviamo in un mondo pieno di gambusie, eppure nessuno ha la più pallida idea di che cosa siano. Invece il leone sanno tutti che cos’è, come se i canneti e i campi di ortiche nostrani fossero pieni di leoni. Ma le gambusie, che vivono praticamente in tutti i corsi d’acqua, sono ignote ai più”. 
Ha ragione Enrico Unterholzner: chi di noi sa esattamente cosa siano le gambusie? Solo una rapida ricerca in Internet informa che si tratta di pesci d’acqua dolce particolarmente ghiotti di larve di zanzara. Viene dunque da chiedersi cosa ci facciano questi pesciolini dentro un libro. La risposta è semplice: vivono la loro vita sotto lo sguardo attento del protagonista del libro, il signor Geremia, un essere umano decisamente fuori dagli schemi, proprio per l’estrema attenzione che riserva al mondo e alle cose che i più non vedono. Per lui, infatti, nulla è scontato e tutto merita una scrupolosa osservazione. Perché solo in tal modo è possibile penetrare nel cuore della materia e regalare un’anima e un corpo vivente anche agli oggetti. 
Geremia, esperto informatico, è un uomo “calmo e controllato” che conduce un’esistenza all’apparenza anonima e noiosa spesa tra casa e ufficio. Alla stregua del protagonista della novella La carriola di Pirandello, una volta giunto nel proprio appartamento e chiuso il mondo fuori dalla porta, Geremia si toglie la maschera che gli altri lo costringono a indossare e si abbandona all’affetto di Pamella e Silfantea. Il rapporto con queste due strane creature, che all’intera società parrebbe folle, per il protagonista del libro è invece vitale, fonte di sensazioni e sentimenti gratificanti e consolatori, capaci di compensare la frustrazione provocata dal comportamento di alcuni colleghi di lavoro e dal suo aspetto fisico assai ingombrante, di cui non sopporta nemmeno il riflesso nelle vetrine dei negozi. La vita è dunque divisa in due parti: quella fatta di banalità, mediocrità e volgarità, e quella dove trovano spazio le cose dello spirito, la filosofia, l’attenzione al particolare, la sensibilità espressa alla massima potenza. 
Geremia “non si accontentava di conclusioni sbrigative e superficiali. Ogni ipotesi doveva essere attentamente valutata prima di venire accettata. Istintivamente non si fidava del caso, ritenendo più serio collocare gli eventi all’interno di un disegno tracciato dal destino”. Un destino ostile, da volgere a proprio favore con tutta una serie di riti propiziatori per ingraziarsi gli dei. Una ritualità che per certi versi ricorda quella di un personaggio del romanzo Le correzioni di Jonathan Franzen: ovvero Chip (che differisce, invece, nell’atteggiamento in pubblico, nella sfrontatezza). Gli stessi riti servono anche a placare l’entità maligna che lo perseguita, identificata nella persona della madre. Nel suo universo “non riusciva ad attribuire un ruolo positivo alla madre”, colpevole di aver tarpato le ali alla sua fervida immaginazione e di non condividere il giudizio di mediocrità da lui espresso per la vita terrena. 
Giorno dopo giorno, Parmio (questo l’avatar del protagonista) dà sfogo alle frustrazioni tipiche dell’uomo moderno, diviso a metà tra ciò che la società gli richiede di essere e ciò che in realtà egli è. Ma lo sfogo può avvenire solo tra le quattro mura domestiche, nel luogo deputato per eccellenza alla privacy, anche se porte e finestre sono comunque un pericolo latente. Qui, tra oggetti del tutto familiari, gli è possibile sbarazzarsi del peso di obblighi e convenzioni varie, scrollandosele di dosso con enorme soddisfazione, per tuffarsi dentro un mare di ricordi e di autosuggestioni, anche le più folli. L’importante, per lui, è figurarsi libero e assolto da qualsiasi tipo di giudizio morale, dare pieno sfogo alla fantasia più sfrenata, senza alcun senso di colpa per avere deviato dalla quotidianità soffocante in cui è costretto a muoversi. 
La storia, che naviga nel clima affascinante dell’atemporalità, cattura fin da subito per il mistero che circonda le due creature adottate da Parmio e per l’effetto surreale che la scoperta della loro identità provoca immediatamente dopo nel lettore. Numerosi, comunque, i salti all’indietro, verso un passato non proprio edificante, vissuto all’ombra della madre, che continua a condizionare il figlio così come fa la società intera, entità apparentemente razionale, ma concretamente irrazionale. Il presente si sviluppa all’interno dell’appartamento e prende da subito il sopravvento sulla vita fuori, portando il lettore a credere che l’esistenza di Parmio — e forse anche la propria — sia tutta lì, spesa a immaginare mondi altri, creature affettuose e amorevoli, pericoli imminenti ma inesistenti. 
Nonostante il racconto strappi al lettore numerosi sorrisi, spesso amari, il finale drammatico riporta tutto nella normalità, entro binari certi e sicuri. Viene da pensare che l’ultima scelta di Parmio sia la logica conseguenza del suo modo di viversi folle, o perlomeno estroso. Pare, invece, che solo un’estrema lucidità lo abbia ispirato, regalandogli il coraggio delle proprie azioni, permettendo all’ignoto di prendere il sopravvento sulla realtà. 
 
Lorella De Bon
 
 
Le immagini sono (C) Carlo Peroni 2001 
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