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Il sopravvissuto, Il coraggio del pettirosso e Il colore del cielo 
 
 
Una recensione 
a cura di Lorella De Bon
 
 
 
 
 
Salvio Formisano, 
L’accordatore di destini, Meridiano zero, Padova, 2007
 
 
Non è facile parlare di un romanzo di cui esistono numerose recensioni. Da un lato si corre il rischio di ripetere concetti e opinioni già espressi, magari da critici “di professione”. Dall’altro si è tentati di lasciarsi andare a osservazioni assurde, nella speranza che si tratti di cose non ancora dette. In tal senso, il romanzo d’esordio di Salvio Formisano è una brutta gatta da pelare. 
Siccome i punti forti de L’accordatore di destini sono molti, inizio togliendomi due sassolini dalle scarpe. Innanzitutto, dalla quarta di copertina non si ricava molto sull’identità dell’autore. Il fatto è che sono una persona curiosa a cui piace tanto sapere, ad esempio, dove e quando è nato uno scrittore. Forse per confrontarmi e continuare a sperare che alla mia età si possa ancora sognare di pubblicare qualcosa di valido. O forse per una sorta di voyeurismo, in linea col tema portante del romanzo. 
Dopo il primo sassolino, il secondo. Il romanzo merita la vetta delle classifiche “di vendita”, anche se non sempre esse rispecchiano la qualità dei libri. Ma questo è il triste destino di tanti bei volumi, purtroppo ignorati dal grande pubblico a favore di altri, scritti da nomi di grido o gridati ai quattro venti per via di contenuti alquanto discutibili, ma di sicuro effetto. 
Passando ai pregi del romanzo di Formisano, mi piace partire dalla copertina. Un biglietto da visita elegante e gradevole, curato e accattivante sia nella forma che nella sostanza. Un cartoncino morbido al tatto. Titolo, autore e casa editrice in bella mostra, bianco su nero. Un pezzo di cielo racchiuso tra alcuni edifici anonimi, il tutto visto da sotto in su, e il cui senso viene svelato verso la fine della storia. A voi scoprirlo, esattamente a pagina 120. 
Le prime pagine sono come la copertina: incuriosiscono e catturano l’attenzione. Quante cose possono succedere in sette giorni ce lo spiega Formisano, con un dire tra prosa e poesia. “A me, strade di Napoli. Chilometri, libere associazioni, migliaia di passi, rimpianti, riflessioni, caffè, dolore, piazze, piante, pianti, sudore, limonate. […] Fu allora che gettai le basi per quella che sarebbe stata la mia nuova vita, il mio nuovo modo di essere”. Dunque, Napoli sinonimo di catarsi, di un punto zero dal quale ricominciare a vivere una vita migliore della precedente. Dapprima distratti, gli sguardi e i pensieri si fanno via via più attenti e curiosi. Napoli e la sua gente tornano ad abbracciare un figliol prodigo pronto a tradirli ancora, forse per ingratitudine o semplicemente per noia. 
Fin da subito il racconto si fa introspezione spietata e riflessione acuta sui rapporti interpersonali odierni. L’umanità tutta pare rivolgersi all’agenzia di investigazioni per la quale lavora il protagonista del romanzo, che immediatamente ne coglie l’essenza e le frustrazioni. “È sempre una questione di corna. […] Nella maggior parte dei casi le donne tradiscono per noia, perché il marito le trascura, beve o è violento. […] Il marito si è insospettito perché ha incominciato a vedere la moglie serena, contenta, più curata, e poi perché non voleva più fare sesso”. L’analisi prosegue senza riserve, scandita da nuovi incarichi e nuovi clienti, dentro una città che piace sempre meno e un lavoro che fa sempre più schifo. Perché di voyeurismo si tratta. E quando si spiano le persone nella loro intimità, se ne scoprono immancabilmente i lati oscuri e peggiori. 
È proprio l’esigenza di sistemare i rapporti “malati” che il protagonista è incaricato di spiare a stare tutta dentro il titolo del romanzo. “Il creatore di destini scongiurerebbe i disastri causati dagli incontri sbagliati, perché poi la verità è questa: con tanti discorsi che si fanno sull’amore, alla fine ci si sposa con chi s’incontra”. Sacrosante parole, caro Formisano, ma nella vita bisogna anche sapersi accontentare. Altrimenti si rischia il delirio di onnipotenza come il tuo creatore-accordatore, che pare volersi sostituire a Dio. E questo è forse un altro sassolino nelle scarpe. 
Il problema è che il protagonista del romanzo (continuo a chiamarlo così perché non ha un nome), fa parte di quella società della quale disprezza tanto i rapporti umani. Trascorre una notte di sesso in una camera d’albergo con la donna che sta per sposare, per poi dire al portiere di gettare via la valigia che questa ha dimenticato. “Nella semioscurità della stanza mi guardavo allo specchio e bevevo […] Ore malvagie, spietate. A ripensarci, provo ancora oggi il disgusto e la vergogna”. Sono proprio gli altri a far prendere coscienza della pochezza che si annida tra le pieghe di un’anima inquieta. Gli altri, osservati dal buco della serratura, quale specchio che riflette un corpo in via di disfacimento. 
“Mesi di pedinamenti, centinaia di foto scattate, relazioni dettagliate e decine di casi portati a termine, brillantemente secondo il mio capo, con sempre maggior disgusto, invece, da parte mia”. 
L’investigatore lavora bene e produce dossier completi, cercando di soffocare quella spontanea simpatia che prova solitamente per la cornuta (o il cornuto). Viceversa, l’accordatore di destini non può essere altrettanto diligente. Non è semplice coprire un tradimento palese, consegnando dei dossier puliti e immacolati, corredati di fotografie che dimostrano una religiosa fedeltà al coniuge. 
“Incontri. Questo, alla fine, più di tutto decide la nostra vita [...]”. Una città: Napoli. In seguito, Gina e Giovanni. La prima, corteggiata a suon di fiori e versi di canzoni di Paolo Conte. Il secondo, un uomo mite e buono, caduto nella trappola tesagli da una moglie infedele e ridotto in fin di vita. Sono questi gli incontri che segnano il destino dell’accordatore di destini. 
L’epilogo della storia non si può e non si deve raccontare, per non privare il lettore del classico colpo di scena che caratterizza i romanzi “noir”. Un epilogo imprevisto, violento e disgustoso come certi personaggi osservati dall’investigatore Formisano. Un autore decisamente onesto, di quelli che usano la scrittura per mostrare e non per nascondere. In tal senso, mi preme segnalare un passaggio, insolito per essere stato scritto da un uomo: “Noi uomini non capiamo mai niente di quello che succede e quando ci accorgiamo che c’è qualche buco nel rapporto lo sottovalutiamo, lasciamo andare aspettando che le cose si aggiustino da sole […] e intanto il terreno ci frana sotto i piedi e il buco diventa un baratro”. Io donna, dico che Formisano è da adorare anche soltanto per queste sagge parole. Sagge e inconfutabili come prove. 
 
Lorella De Bon
 
 
Le immagini sono (C) Carlo Peroni 2001 
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