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Il sopravvissuto, Il coraggio del pettirosso e Il colore del cielo 
 
 
Una recensione 
a cura di Lorella De Bon
 
 
 
 
 
 
Mario De Filippis, 
Operazione Alarico
Iride Edizioni, Soveria Mannelli, 
2007
 
 
“Chiamarsi Francesco Filice, a Cosenza, dovrebbe garantirti l’anonimato, darti l’emozione di vivere in clandestinità. Come un terrorista o un agente dei servizi segreti in missione. Perché noi Filice a Cosenza siamo un migliaio, secondo le statistiche comunali di questo 1998. Esattamente milletrentaquattro”. 
Trovare un difetto nel libro di Mario De Filippis è come mettersi alla ricerca della tomba di Alarico, re dei Visigoti, che la leggenda racconta essere stato sepolto nel 410 d.C. nell’alveo del fiume Busento, insieme col bottino del sacco di Roma: non si approda a un bel niente. Molto meglio dedicarsi ai pregi, a cominciare dall’ironia tipicamente fantozziana che, con estrema intelligenza, caratterizza ogni capitolo del romanzo. E alla saga del ragionier Fantozzi il libro si richiama esplicitamente, quando cita il capolavoro-mattone La corazzata Potëmkin di Sergej Ejzenštejn. È infatti ricevendo dal capo della Soprintendenza l’incarico di allestire una mostra su Alarico, che il protagonista geometra Filice sbotta: “«Perché non mi sono rotto una gamba, scendendo le scale? Potrei farlo adesso, potrei buttarmi giù dalla scalinata di ingresso alla Soprintendenza, come i manifestanti in fuga nelle drammatiche, famose scene de La corazzata Potëmkin»”. 
Altro pregio, il fatto che De Filippis ha saputo ben utilizzare i luoghi comuni dedicati agli uffici pubblici e ai pubblici impiegati. Ad esempio, guai a pestare i piedi al potente di turno, altrimenti scatta una persecuzione degna del peggior dittatore. Come quando il sindaco di Cosenza, Cesare Potente, se la prende con la Soprintendenza per avere inopportunamente bloccato una certa variante al piano regolatore. “Plotoni di vigili urbani piombarono su tutte le nostre sedi in città. Tutte le nostre macchine, di noi innocenti, modesti dipendenti, vennero multate e rimosse […] E noi sventurati, a rischio trasferimento, magari a Catanzaro […] quasi deportati nell’infame, orrido capoluogo di regione. Esposti allo scherno e alle pernacchie dei colleghi catanzaresi”. 
La scrittura, scorrevole e ben curata, propria di chi ha dimestichezza con la lingua e con l’argomento trattato, è impreziosita da continue citazioni e rimandi ai testi storici e letterari consultati dall’autore, che egli non si limita a elencare nelle note finali, ergendoli anzi a veri e propri protagonisti della storia. Esemplari e suggestive in tal senso le conversazioni tra Filice e la statua di Bernardino Telesio, in piazza Prefettura. L’illustre accademico del passato, di fronte alle titubanze del geometra sul genere femminile, lo esorta a lasciar perdere “le grazie terrene di Ginevra e di qualunque altra femmina […] destinate a svanire in breve volgere di anni” e a portare a termine le ricerche storiche intraprese. 
I documenti storici più o meno rari costituiscono il filo conduttore della narrazione, che al di là del puro svago per il lettore, persegue un obiettivo ben più ambizioso: far conoscere Cosenza e la sua Storia. E allora, ci si perde tra monumenti, chiese, palazzi vecchi e nuovi, piazze, uffici pubblici e periferia, con salti temporali che fanno girare un po’ la testa, ma che riportano in vita personaggi di un tempo e tradizioni locali ormai dimenticate. 
L’organizzazione della fantomatica mostra su Alarico corrisponde all’evoluzione personale del protagonista verso la presa di coscienza della propria immobilità e la decisione di cambiare vita “tutto di botto”. Dunque, nell’anno 1998 e all’età di quarant’anni, Ciccio Filice decide di “fare quello che un ragazzo normale e sano di mente, indipendente economicamente, avrebbe dovuto fare da tempo”. Sarà una vecchia conoscenza del passato, di cui non svelo l’identità, a focalizzare e dirigere le aspirazioni del geometra verso un obiettivo preciso: vivere! 
Alla fine i due eventi, quello ufficiale della mostra e quello privato della metamorfosi del protagonista, culminano nel successo. E mentre Alarico trova il suo spazio persino nel terzo canale della radio nazionale, Filice valica i confini italiani, per poi fare ritorno a Cosenza, là dove egli crede sia realmente sepolto il re dei Visigoti. A voi scoprire esattamente dove: “Il luogo poi non è nemmeno lontano dal Busento”. 
Per concludere, mi piace rimarcare che l’autore del libro svolge la professione di insegnante nelle scuole superiori, mestiere di grande responsabilità, ma non sempre tenuto nella dovuta considerazione, anche da parte degli stessi insegnanti. Il fatto che un docente come De Filippis sia attivo nel campo della scrittura, della ricerca e della divulgazione ne attesta l’impegno e la passione per l’insegnamento. 
 
Lorella De Bon
 
 
Le immagini sono (C) Carlo Peroni 2001 
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